Estratto dell’articolo di Francesco Verderami per il “Corriere della Sera”
MATTEO SALVINI GIANCARLO GIORGETTI
Arrivederci Roma, canta in cuor suo Giancarlo Giorgetti. Il ministro dell’Economia confida di vincere il festival per la nomina a commissario europeo e di trasferirsi così a Bruxelles, dove ritiene che il clima sia «migliore». Ma non è all’aspetto meteorologico che si riferisce.
Giorgetti è stanco di fare il punching-ball nella Lega, di cui non condivide (è un eufemismo) la linea. L’ha detto pure al segretario, come poi ha confidato a un dirigente del Carroccio: «La mia impostazione di politica economica è diversa. Gli ho spiegato che sono pronto a farmi da parte».
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È vero che l’umbratile titolare dell’Economia minaccia ciclicamente di passar la mano. Una delle ultime volte spiegò di essere «disinteressato» al ruolo che ricopre: «Sento il dovere di dire la verità anche a costo di perdere la carica». Stavolta potrebbe non essere come le altre volte.
Anche perché — oltre ai dissidi nel partito — c’entrano pure idee non proprio collimanti in seno al governo sul modello di crescita, sul sistema delle privatizzazioni, sui meccanismi di gestione dei fondi. In più c’è la ferita del Mes, che gli ha procurato problemi di credibilità nel club europeo dei ministri dell’Economia.
PAOLO GENTILONI - GIANCARLO GIORGETTI
E l’intransigenza di Matteo Salvini l’ha costretto a pagare un costoso pedaggio personale. Politicamente poi, è distante dalla linea tracciata in Europa dal segretario, perché «se Meloni vira verso il centro non è detto che sia utile per noi occupare lo spazio lasciato libero a destra».
[…] Così sostiene uno dei leader di maggioranza, dopo aver parlato con la premier: «Intanto la nomina a commissario di Giancarlo sarebbe una garanzia per il governo in Europa. E poi consentirebbe a Giorgia Meloni di insediare Maurizio Leo all’Economia. Come potrebbe Salvini opporsi a questo schema?».
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Schema che per un verso offrirebbe alla presidente del Consiglio la possibilità di controllare direttamente il dicastero di via XX Settembre. E per l’altro incastrerebbe il «Capitano»: il gruppo leghista a Strasburgo come potrebbe votare contro la nuova commissione, se uno dei suoi uomini di punta ne facesse parte?
In attesa di fare le valigie, Giorgetti dovrebbe solo affinare il suo inglese. Non è detto che non lo stia già facendo, visto che Meloni ha chiesto a tutti i ministri in difficoltà con la lingua di prendere lezioni. Per il resto, la missione europea si sta dispiegando. A Bruxelles ha come punto di riferimento l’attuale presidente della Commissione. Ieri Antonio Tajani ha annunciato che al prossimo congresso del Ppe, «di cui Forza Italia è parte integrante», verrà eletto «il nostro Spitzenkandidat»: Ursula von der Leyen dovrebbe essere la candidata, «e siccome vinceremo, la voteremmo» per un secondo mandato. Visti i rapporti, lo farebbe anche Meloni.
D’altronde i pronostici per le urne di giugno assicurano alla premier un cambio consistente dei rapporti di forza nel centro-destra. Specie se si candidasse. Ormai i suoi alleati hanno capito che sarà così e la stuzzicano in continuazione, dicendole che «la stabilità del governo deriva da un tuo successo alle Europee». «Ci penserò...», si trattiene lei. […]
Ci sarà il tempo per trovare un accordo, così come passerà ancora molto tempo prima di vedere ufficializzata l’indicazione a commissario europeo di Giorgetti, «espressione — sostiene il forzista Giorgio Mulè — di quel centro-destra moderato che è credibile in Italia e in Europa. L’ha già dimostrato durante il governo di Mario Draghi». Una citazione non casuale, che evoca i rapporti tra il ministro dell’Economia e l’ex premier. All’atto di congedarsi da Palazzo Chigi, Giorgetti disse che «Supermario» avrà ancora «un ruolo in Europa e in Italia». Non ha cambiato idea.
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