Estratto dell’articolo di Paolo Mastrolilli per “la Repubblica”
«La riforma del Consiglio di Sicurezza non può prescindere dai principi di uguaglianza, democraticità e rappresentatività. Ha senso se viene fatta per tutti e non solo per alcuni. Non ci interessa creare nuove gerarchie e non crediamo che esistano nazioni di serie A e serie B». Così la premier Giorgia Meloni, intervenendo ieri al Summit of the Future dell’Onu, ha cercato di stoppare l’accelerazione impressa dagli Usa all’allargamento del massimo organismo del Palazzo di Vetro, secondo una formula che emarginerebbe l’Italia.
Poi, mentre diceva che il multilateralismo non dovrebbe essere «un club nel quale incontrarsi per scrivere inutili documenti zeppi dibuoni propositi», le hanno staccato il microfono perché aveva sforato i 5 minuti previsti. Resta da vedere ora se Roma ha ancora la forza di fermare il progetto di riforma.
[…] l’ambasciatrice americana al Palazzo di Vetro Linda Thomas Greenfield aveva annunciato la nuova posizione, che prevede l’assegnazione di due seggi permanenti senza potere di veto all’Africa, e uno a rotazione ai paesi insulari del Pacifico. La motivazione di Washington è legata anche alla necessità di rilanciare le relazioni col continente, e in generale col sud del mondo, dopo averlo a lungo trascurato.
IL CONSIGLIO DI SICUREZZA DELL ONU
Con l’effetto che si è lasciato spesso sedurre da Cina e Russia sul piano economico, ma anche geopolitico, a partire dal mancato appoggio convinto alla difesa dell’Ucraina e alle sanzioni contro Putin. Il rischio è che questi paesi si saldino con Pechino e Mosca, e magari Teheran e Pyongyang, per creare una coalizione autocratica alternativa […] Per l’Italia, però, questa riforma avrebbe l’effetto negativo di emarginarci.
Da oltre trent’anni si parla della necessità di aggiornare il Consiglio di Sicurezza, formato dai cinque membri permanenti con potere di veto, ossia i vincitori del conflitto mondiale Usa, Russia, Cina, Francia e Gran Bretagna, e dieci membri non permanenti eletti ogni due anni, senza veto. Lo scopo sarebbe quello di fare in modo che il massimo organismo dell’Onu rispecchi meglio la realtà contemporanea […]
I candidati originali al cosiddetto “quick fix” erano Germania e Giappone, perché sono paesi importanti […] Il loro ingresso però accrescerebbe presenza e potenza dei paesi ricchi occidentali, perciò per equilibrarlo si era aggiunta l’idea di dare un seggio permanente a Africa, Asia e America Latina.
Ai due “grandi pretendenti” quindi si erano sommati soprattutto Brasile, India, e uno da individuare tra Egitto, Nigeria, Kenya e Sudafrica. L’Italia si è opposta a questa riforma, perché la emarginerebbe in Europa in favore di Germania, Francia e Gran Bretagna. Quindi attraverso l’iniziativa Uniting for Consensus ha puntato invece sulla soluzione di aggiungere 9 seggi non permanenti a rotazione più frequente senza potere di veto, con la possibilità di rielezione immediata, assegnati ai gruppi regionali.
Così si darebbe spazio ai paesi che vogliono una presenza assidua, senza però chiudere la porta agli altri e conservando un approccio democratico alla composizione del Consiglio. A questi 9 poi si sommerebbero altri 2 seggi non permanenti, come quelli già esistenti.
L’Italia ha costruito un’alleanza con gli altri potenziali esclusi, tipo Spagna, Turchia, Canada, Pakistan, Messico, Argentina, Corea del Sud, riuscendo finora ad evitare la riforma non desiderata.
Adesso, però, gli Usa hanno deciso di accelerare […] Oltre al sostegno per Germania e Giappone, a cui in seguito avevano aggiunto l’India, favoriscono la creazione di due seggi permanenti per l’Africa, senza veto. Se il continente accettasse la proposta, con i suoi 54 paesi membri dell’Onu potrebbe […] sbloccare la riforma[…] La chiave per fermarla potrebbe stare nella rivalità tra le varie nazioni che ambirebbero ai due seggi, e nel fatto che finora gli africani hanno rifiutato di ricevere posizioni senza veto, e quindi di serie B rispetto agli altri cinque permanenti. […]