Andrea Rossi per “la Stampa”
CHIARA APPENDINO E IL MARITO MARCO LAVATELLI
Le Olimpiadi invernali del 2026 possono diventare un esempio, il primo, «di un nuovo approccio alla gestione della cosa pubblica: senza sprechi né cattedrali nel deserto». Un modo di agire capace di trasformare ciò che fino a ieri rappresentava il demonio, o comunque uno spauracchio da evitare, in una opportunità di mostrare che un altro mondo è possibile che le cose si possono fare diversamente. Per puntellare la poltrona di Chiara Appendino, la sindaca di Torino entrata in rotta di collisione con la sua maggioranza sul progetto di candidare la città ai Giochi invernali tra otto anni, Luigi Di Maio spolvera tutto l' armamentario del M5S di lotta che vuole essere governo senza smarrire se stesso.
E per convincere i 23 consiglieri comunali, coesi e compatti nel bocciare la proposta iniziale di Appendino al punto da spingerla quasi alle dimissioni qualche giorno fa, di fatto sembra dare sponda al loro contro documento. Lo definisce «condivisibile», ne sposa le parti in cui si parla di consumo di suolo, sostenibilità economica e ambientale, zero debiti e uso responsabile delle risorse pubbliche, una spasmodica attenzione alle regole, lotta alla corruzione e attenzione per tutto quello che verrà dopo in termini di eredità.
È l' unico modo per provare a ricomporre il dissenso e far decollare la candidatura di Torino dopo la frattura fra sindaca e i suoi. «Se si vuole considerare come investimento una spesa che lascia un pesante debito e che non ottiene i risultati sperati in termini di occupazione e rilancio, allora lo si può fare considerandolo un investimento sbagliato.
È impossibile in questo momento storico non tenere conto di ciò», gli spiegano i consiglieri motivando il no di pochi giorni fa alla bozza predisposta dalla sindaca. Di Maio si è fiondato a Torino per questa ragione: dopo giorni in cui a Roma si credeva che la fronda interna fosse limitata a pochi barricaderi, è scattato l' allarme: si è capito che il malessere era diffuso e investiva il ruolo stesso della sindaca e il suo modo di gestire i dossier più importanti. Il M5S rischiava di perdere Torino.
Serviva una figura di primo piano per ricucire e, come chiesto da entrambe le parti (Appendino e i consiglieri) si è mosso il capo politico in persona. Una vittoria sostanziale per il Movimento, molto meno per la sindaca, perché se Di Maio ha dovuto venire a Torino (già mercoledì era stato sul punto di abbandonare tutti i suoi impegni romani) è perché i vertici hanno capito che Appendino non teneva più la sua maggioranza: serviva una mediazione di altissimo livello.
E allora ecco Di Maio, che arriva in compagnia di Pietro Dettori, l' uomo che Davide Casaleggio ha voluto a Roma per seguire da vicino l' azione del governo. Di Maio che rassicura, impegna il governo sui punti cari ai grillini: niente debiti e attenzione per un evento a impatto basso.
Così facendo è chiaro che crea un cortocircuito: il capo politico è pur sempre il vicepresidente del Consiglio dei ministri che dovrà decidere tra pochi giorni chi tra Torino, Milano e Cortina ha maggiori possibilità di organizzare i Giochi. Il suo arrivo a Torino di fatto schiera - come già avvenuto nei giorni scorsi con le sortite di altri ministri - il Movimento su una delle contendenti creando potenzialmente un fronte di conflitto con la Lega.
Un problema secondario, in questo momento: ieri la premura di Di Maio era salvare la seconda città per importanza tra quelle governate dal movimento. E - almeno stando alle indiscrezioni filtrate dal vertice ancora in corso - sembra esserci riuscito.