DAGOREPORT
Lorenzo De Cicco per la Repubblica - Estratti
GIORGIA MELONI MATTEO SALVINI BY EDOARDO BARALDI
È sulle armi che il centrodestra rischia il testacoda. La Lega è in modalità guastafeste da tempo, vedi gli ultimi scorni con FdI su vaccini, liste d’attesa e Rai, tanto che i salviniani hanno chiesto un vertice di maggioranza per discutere la linea nei prossimi mesi.
Ma alla fine si torna sempre lì: agli aiuti militari alla resistenza di Kiev. A via Bellerio non hanno preso benissimo (eufemismo) le dichiarazioni da Washington della premier Giorgia Meloni. Che l’altro ieri, di notte, ha replicato ruvidamente a Matteo Salvini che, a vertice Nato in corso, aveva sentenziato: più si inviano armi, più si prolunga la guerra. Una linea opposta a quella ribadita nel summit del patto atlantico.
giorgia meloni e matteo salvini alla camera
Ecco perché la leader di Fratelli d’Italia ha sentito il bisogno di intervenire. Dicendosi «fiera» di aver spedito a Zelensky i sistemi di difesa aerea e rivolgendosi «a chi dice che se si continuano a inviare armi all’Ucraina si alimenta la guerra».
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Dopo un giro di consultazioni coi fedelissimi, Salvini ha deciso che la sortita della socia di governo meritava una replica. Dura. Affidata, come capita spesso quando non bisogna andare per il sottile, al vicesegretario Andrea Crippa. Il quale prima se l’è presa coi «missili, che dal mio punto di vista ammazzano le persone», altro che «armi difensive». Poi ha allargato il suo no addirittura a qualsiasi tipo di fornitura militare. Crippa testuale: «Io sono contro l’invio di ogni tipo di armi all’Ucraina, perché sono favorevole a un processo negoziale. Finché inviamo armi, alimentiamo le guerre».
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giorgia meloni e matteo salvini alla camera
Al di là del capitolo armi, che resta il dossier più spinoso e grave, i leghisti vorrebbero chiarire con gli alleati le priorità dei prossimi mesi. Nei giorni scorsi sempre Romeo, come confermano a Repubblica fonti a conoscenza dei colloqui, ha chiesto ai capigruppo di FI, Maurizio Gasparri, e di FdI, Lucio Malan, un vertice di maggioranza. Una riunione tra i presidenti di gruppo del centrodestra, magari da allargare ai leader, per definire l’agenda da qui a fine anno. A
nche per evitare che il Parlamento resti un decretificio del governo. Di che vorrebbe discutere la Lega? Della riforma dei ballottaggi, per sforbiciarli e abbassare al 40% la soglia di vittoria al primo turno. Del ritorno delle Province.
Ma anche della manovra, della riforma della giustizia a cui FI vorrebbe mettere il turbo. E dell’autonomia, visto che il vicesegretario forzista, Roberto Occhiuto, ha chiesto ai deputati azzurri di non votare le intese con le Regioni fino al momento in cui saranno finanziati i Lep, i livelli essenziali di prestazione. Cioè tra diversi anni. Significherebbe congelare le ambizioni del governatore veneto Luca Zaia, che vorrebbe incassare subito le materie “non Lep”.
E poi c’è la Rai. A breve saranno nominati i nuovi vertici e il Carroccio teme di restare fuori dai “top jobs”, perché FdI intende promuovere Giampaolo Rossi come ad e affidare la presidenza a Simona Agnes, gradita a FI. Nervosismo a via Bellerio, che vorrebbe almeno un posto da dg. Per dare un segnale, la Lega ieri ha presentato un’interrogazione per fare chiarezza «sui costi della direzione Approfondimento», capitanata da Paolo Corsini, meloniano di ferro. E ha difeso l’ad uscente, Roberto Sergio, che i Fratelli vorrebbero accompagnare alla porta. Servirà un vertice tra i leader, forse la prossima settimana. Intanto ci si azzuffa. Per Meloni però la maggioranza «è compatta».
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