Alessandro Barbera e Francesco Olivo per “La Stampa”
mario draghi in conferenza stampa 3
Per capire l'aria che si respira nella maggioranza basta un frame del consiglio dei ministri. Maria Stella Gelmini ha fra le mani il testo dell'emendamento sulle concessioni balneari, rimasto gelosamente fra le mura di Palazzo Chigi fino a lunedì mattina. Dice di non essere contraria, ma di voler condividerlo con le Regioni.
Accende il microfono e, pur non credendoci, chiede l'ennesimo rinvio. «Potrebbero bastare due giorni». Draghi dal centro dell'enorme tavolo tondo le risponde con voce monocorde: «Lo si approva oggi». Il premier sospende la seduta, lascia mezz' ora al sottosegretario Garofoli e al ministro del Turismo Garavaglia, e impone il compromesso indigesto.
Nemmeno un'ora dopo, sulla chat di Matteo Salvini appare un comunicato: «Cambieremo il testo in Parlamento». La convocazione ad hoc della riunione - un solo punto all'ordine del giorno - testimoniava in sé la delicatezza della faccenda. Come mai Draghi, nel pieno della crisi ucraina, fra una telefonata a Kiev e le imprese strozzate dall'aumento dei prezzi del gas, deve interrompere la gestione dell'emergenza per un emendamento sulle spiagge?
La risposta la possiamo sintetizzare così: evitare il pantano al piano nazionale delle riforme e una crisi di credibilità in Europa. Da dieci anni l'Italia è rincorsa da una procedura di infrazione per la violazione dei più elementari principi di concorrenza. Dal 2019, dopo la decisione del governo gialloverde di concedere le proroga decennale dello status quo, negli uffici della Commissione a Bruxelles le concessioni balneari erano diventate un casus belli.
A Palazzo Chigi avevano il punto in agenda da mesi, ma la lobby dei balneari, forte in tutti i partiti, aveva fiaccato ogni sforzo. Una sentenza del Consiglio di Stato, poco prima di Natale, aveva cavato Draghi d'impaccio: dal primo gennaio 2024 il settore dovrà essere sottoposto alla concorrenza. Il testo votato ieri serve a gestire la transizione, e a mandare all'Europa il segnale politico che attendevano da Draghi.
massimo garavaglia ministro del turismo foto di bacco (1)
Uno degli impegni più importanti del Recovery Plan di quest' anno è la legge sulla concorrenza, e il destino della riforma delle concessioni balneari ne è il passaggio più simbolico. Il premier non ha però ancora avuto la meglio sui partiti. L'emendamento votato ieri finirà nel calderone del ddl sulla concorrenza, già impantanato al Senato fra decine di audizioni.
Durante l'ultima conferenza stampa Draghi sul punto era stato secco: «Il testo deve essere approvato al più tardi entro marzo». Garavaglia - che nella partita dei balneari ha giocato di sponda con Palazzo Chigi - ritiene che molte delle indicazioni arrivate dal suo dicastero siano state accolte e che gli attuali concessionari abbiano buone opportunità di vincere le gare.
Dentro alla Lega c'è meno entusiasmo: Centinaio, sottosegretario all'agricoltura ed ex ministro del Turismo, parla di «testo migliorato», ma «siamo già al lavoro con le associazioni del settore per cambiare e migliorarlo. L'auspicio è farlo insieme al resto del centrodestra».
I ministri del Carroccio minimizzano, assicurando che non ci sarà nessuna resa dei conti in Parlamento, solo verranno chieste ulteriori tutele per i concessionari. Certo è che ora la Lega deve arginare le proteste della categoria, a favore della quale si spenderanno i vertici di Fratelli d'Italia. «Un esproprio del governo, un vergognoso regalo alle multinazionali straniere», lo definisce Giorgia Meloni.
Salvini, minacciato sul fianco destro, è costretto a giocare in difesa, e per questo già oggi incontrerà i rappresentanti del settore. «Il compito non sarà facile perché qualcuno (Fratelli d'Italia, ndr) li ha illusi che si potessero ottenere proroghe di 99 anni» dice una fonte leghista che chiede di non essere citata. Insomma, la Lega di governo e di lotta confliggono ormai con evidenti difficoltà di mediazione: «Stiamo rispondendo a decine di gestori in lacrime - drammatizza un dirigente del Carroccio - dovrei farli parlare con chi ha votato questa roba».
Il responsabile economia del Pd Antonio Misiani ne approfitta per un commento fattualmente incontestabile: «Sui balneari assistiamo ancora una volta alla doppiezza della Lega. Per noi vale la posizione assunta all'unanimità in Consiglio dei ministri. Non sono ammissibili giochini politici». La storia recente insegna però che quando c'è di mezzo la tutela della concorrenza non c'è da fidarsi degli impegni di nessun partito. E a Palazzo Chigi lo hanno ben presente.
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