DAGOREPORT
Estratto dell’articolo di Gianni Trovati e Manuela Perrone per il Sole 24 Ore
«È matematico, è scientifico, alcuni interventi da qui al 30 giugno 2026 non possono essere realizzati». La cornice è tra le più ufficiali, la Sala della Regina di Montecitorio dove la Corte dei conti ha presentato ieri pomeriggio la Relazione semestrale al Parlamento sullo stato di attuazione del Pnrr.
Raffaele Fitto, ministro che del Pnrr ha la delega, decide di abbandonare i toni cauti che gli sono abituali e va dritto al punto. «Siamo un Paese che oggi è ancora fermo al 34% dei pagamenti per i fondi di coesione 2014-2020», ha ricordato richiamando il dossier illustrato a metà febbraio in Consiglio dei ministri.
Pochi minuti prima i magistrati contabili avevano mostrato che nel 2020-2022 la spesa effettiva delle risorse Pnrr si era fermata al 12%, 6% senza i crediti d’imposta automatici, e che la riprogrammazione chiede di conseguenza di far schizzare le uscite reali a oltre 40,9 miliardi quest’anno per arrivare a 46,5 e 47,7 miliardi nei prossimi due anni. L’ipotesi è sostanzialmente impossibile, a giudizio dello stesso Fitto che chiede «una valutazione attenta» da realizzare subito, «senza aspettare il 2025 per aprire il dibattito su di chi sia la colpa».
È la prima volta che il ministro scopre le carte in modo così diretto, misurando la distanza tra la capacità di spesa chiesta dal Pnrr e quella permessa dalla struttura di pubblica amministrazione ed economia italiana.
Le parole di Fitto arrivano all’indomani del nuovo rinvio di un mese del verdetto europeo sui 55 obiettivi della seconda metà del 2022, che danno diritto alla terza rata da 19 miliardi. Sul tema il ministro non drammatizza («Sono ottimista», dice) e la stessa Commissione Ue spiega che lo slittamento «non è inusuale», tornando ad apprezzare «i significativi progressi compiuti nelle ultime settimane».
Peccato che però, nelle stesse ore, il vicepresidente della commissione Valdis Dombrovskis sia tornato a chiudere all’ipotesi di un’estensione temporale del Recovery. «La maggior parte degli obiettivi va realizzata quest’anno», ha aggiunto. Il punto cruciale, infatti, non sono le obiezioni mosse a Bruxelles su riforma delle concessioni portuali, sistemi di teleriscaldamento e Piani urbani integrati (tutti interventi che Fitto ha rimarcato essere stati approvati dal Governo Draghi), su cui il confronto tecnico continua.
Ad allarmare il Governo è il deciso aumento di severità degli esami comunitari, e il rischio concreto che gli inciampi di oggi siano solo un antipasto dei problemi che emergeranno nel tempo. Nasce da questo allarme la strategia che l’Esecutivo sta portando avanti nel complicato negoziato sulla revisione del Piano da proporre entro la fine di aprile. L’obiettivo è sempre quello di recuperare le risorse dei progetti irrealizzabili entro il 2026 «giocando sullo spostamento» sotto il cappello dei fondi di coesione, che hanno l’indiscutibile pregio di allungarsi fino al 31 dicembre 2029.
Alla traduzione pratica di questo schema si è dedicata anche la cabina di regia riunita da Fitto nella serata di ieri dopo il Consiglio dei ministri su decreto bollette e Codice appalti. Il vertice, durato meno di un’ora limitato alle amministrazioni centrali mentre il secondo tempo con gli enti territoriali si terrà nei prossimi giorni, è servito a Fitto per tornare a chiedere ai colleghi «in tempi rapidi un'analisi netta e chiara di tutte le criticità relative ai progetti di competenza di ciascun ministero elaborando proposte d’azione concrete e un’analisi a tutto il 2026».
Quel che serve, ha spiegato il titolare del Pnrr, è «una risonanza magnetica» di tutti i progetti. Su queste basi Fitto punta ad avere «ragioni forti» per rinegoziare il Piano a Bruxelles. Il tutto mentre si lavora anche all’integrazione con RepowerEu, a cui sarà dedicato un provvedimento specifico, mentre è atteso per la prossima settimana (il 6 aprile) l’arrivo in Consiglio dei ministri del decreto sulle assunzioni nei ministeri.
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