Fabrizio Roncone per il Corriere della Sera
Arrivano le linguine all’astice. Vassoio di grande impatto cromatico tenuto a mezz’aria tipo feretro da Angelito e Dolores, la coppia di domestici filippini. Scatta un applauso. Il padrone di casa stappa una magnum di Louis Roederer.
Adesso, immaginate: un finestrone spalancato sui tetti del ghetto ebraico, il riverbero delle luci giallastre di Portico d’Ottavia, cena seduta con sedici persone, tra cui un paio di architetti, un manager, un prete di quelli con l’abito nero di sartoria, un direttore della Rai, un vice-direttore della Rai, un inviato speciale della Rai.
Linguine squisite.
«Stavamo dicendo…» (il prete riattizza le chiacchiere).
«Dicevo — risponde pronto il direttore — che se un po’ conosco Giorgia…». S’infila subito anche il vice-direttore: «Guardate: a me Giorgia sta molto simpatica, è una tipologia umana che mi ispira… poi, se dobbiamo proprio raccontarcela bene, è una donna che ce l’ha fatta da sola…».
E insomma è tutta una Giorgia di qua, Giorgia di là, andiamo avanti a parlare di elezioni e di quanto potrebbe accadere nel Paese e quindi pure a viale Mazzini e a Saxa Rubra, e loro — tipi che prima avevano confidenza stretta con nomi come Paolo (Gentiloni), Matteo (Renzi) e Dario (Franceschini) — adesso per nome chiamano la Meloni, e la chiamano per nome lasciando intendere stima certa, forse amicizia, sospetta complicità. Il prete sorseggia champagne, poi soffia nell’orecchio: «Sbaglio, o le pecorelle della Rai, anche stavolta, hanno già scelto il nuovo pastore?».
SANGIULIANO INTERVENTO A EVENTO FRATELLI D'ITALIA
Non sbaglia, don.
È così che va. I segnali sembrano precisi. E, del resto, hanno una prateria.
L’altro giorno, su Libero, un articolo firmato da Francesco Storace è stato letto riga per riga, copiato, conservato su mille cellulari (Storace è un mitico personaggio della destra italiana: deputato, senatore, ministro, governatore del Lazio, profondo conoscitore delle dinamiche Rai e per questo soprannominato, quando fu il temuto presidente della Commissione di vigilanza, Epurator; adesso si è rimesso a fare il giornalista e non scrive mai niente per caso).
Informa: in Rai, a destra, c’è praticamente il deserto. Aggiunge: «Basti pensare che nelle posizioni apicali — sono 25 — solo cinque non sono di marca Pd». Segue elenco: Gennaro Sangiuliano, direttore del Tg2; Paolo Petrecca, direttore di RaiNews; Alessandro Casarin direttore della Tgr; Marcello Ciannamea, direttore dei Palinsesti; Antonio Preziosi, direttore Rai Parlamento. Altre posizioni: Angelo Mellone, vice-direttore di Rai DayTime; Nicola Rao, vice al Tg1; Paolo Corsini, vice all’approfondimento.
Intanto, qui a cena, siamo al secondo: rombo con patate (un filo salate). Diamo per scontato che per gli otto elencati da Storace siano pronti salti importanti. Sangiuliano è rimasto in azienda, e non sarà senatore di Fratelli d’Italia, perché devono avergli promesso o il Tg1, o persino qualcosa di più.
Uno dei commensali, vecchio amico dell’amministratore Carlo Fuortes, conoscendone il carattere, pensa non sia il tipo da accettare troppi compromessi. Così finiamo a parlare di Giampaolo Rossi: lui sì che può chiamarla Giorgia. Consigliere personale, marinettiano, vero esperto di tv, uno che vuole bene alla Rai, potrebbe diventarne o amministratore o presidente (Marinella Soldi sa già tutto). Pettegolezzo: gira voce che la Meloni sia rimasta dispiaciuta di essersi ritrovata sul sito Dagospia la foto di Petrecca abbracciato a Salvini dopo un comizio a Cosenza (era considerato in quota Fratelli). Cena divertente. Uno ricorda di quando Piero Vigorelli festeggiò la prima vittoria di Berlusconi camminando nei corridoi della Rai avvolto in una bandiera di FI. Allora racconto quello che mi ha detto Bianca Berlinguer: e cioè che, dopo ogni ribaltone, «la Rai resta comunque, pur con qualche conflitto, un’azienda dove resistono spazi di autonomia. A patto, ovviamente, di volerne usufruire».
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Il punto è questo. Michele Anzaldi, da dieci anni segretario in Vigilanza, prima rutelliano, poi renziano, severo e implacabile, spiega sempre che in Rai, in realtà, esistono solo «tipi da Margherita e tipi da Udc. Che, in due minuti, con un saltino, diventano o di sinistra, o di destra».
Ridono tutti. La padrona di casa ha fatto arrivare le sfogliatelle da Napoli. I tre della Rai smettono di parlare della Meloni, e concordano sul fatto che i più bravi giornalisti dell’azienda siano Antonio Di Bella e Mario Orfeo. Il manager aggiunge Andrea Vianello. Giro di Calvados (Christian Drouin, roba seria). Quello della Rai più giovane mi si siede accanto, voce di velluto: «Amico mio, senti… ma avresti per caso il cellulare di Giorgia?».
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