Paolo Mastrolilli per “la Repubblica” - Estratti
Una settimana per decidere il destino della Casa Bianca, cominciata con un 4 luglio diverso da tutti gli altri. È il tempo a disposizione di Joe Biden per convincere i colleghi democratici, i finanziatori, ma soprattutto gli elettori, che ha ancora la forza di condurre una campagna presidenziale, vincerla, e poi governare gli Stati Uniti.
Mercoledì Trump ha rotto il silenzio, e mentre guidava una golf cart insieme al figlio Barron ha insultato lui e la vice: «Guarda quel vecchio mucchio di mer... È spezzato, si ritirerà. Toccherà a Kamala, che è patetica, fottutamente cattiva e incapace. Ve la immaginate a trattare con Putin o il presidente cinese?».
Con un linguaggio diverso, è grosso modo quello che si stanno chiedendo i democratici dietro le quinte, per stabilire se sia più conveniente tentare il salto nel buio del cambio in corsa, oppure andare avanti col candidato scelto dagli elettori nelle primarie. Dopo alcuni deputati, il co-fondatore di Netflix Reed Hastings, uno dei maggiori donatori del partito, ha chiesto il ritiro.
La campagna di Biden risponde che i cambiamenti nei sondaggi dopo il disastroso dibattito di Atlanta non sono enormi, ed era successo anche ad Obama di andare sotto nella prima sfida e recuperare dopo. Il problema è che Biden era in svantaggio e aveva proposto il confronto del 27 giugno per risalire, pensando che Trump avrebbe ricordato agli spettatori i motivi caratteriali e politici per cui lo avevano licenziato nel 2020, preferendo la rassicurante competenza di Joe. È accaduto l'opposto e ora la logica fatica a individuare gli strumenti che potrebbero consentire nei prossimi 4 mesi il recupero fallito ad Atlanta.
DONALD TRUMP INSULTA BIDEN E KAMALA HARRIS
I pro della sostituzione di Biden sono diversi.
(...) Se fosse il sogno proibito Michelle Obama, avrebbe una particolare presa su gruppi chiave tipo afroamericani, donne e giovani, anche se lo stesso potrebbe valere per Kamala Harris. La governatrice del Michigan Gretchen Whitmer si porterebbe da casa uno Stato chiave, e saprebbe parlare alle donne e ai colletti blu di Pennsylvania e Wisconsin.
I contro ovviamente sono caos e divisione. Il precedente del 1968 con Johnson consegnò la Casa Bianca a Nixon, passando per le proteste della Convention di Chicago, che minacciano di ripetersi ad agosto. A questo proposito, ci sarebbe da chiedersi come mai gli studenti americani, gli stessi che hanno sentito la necessità di manifestare in massa contro la guerra a Gaza, siano rimasti zitti davanti alla Corte Suprema, che con la sentenza sull'immunità ha scardinato un principio chiave della democrazia americana, come il fatto che nessuno è al di sopra della legge, presidenti inclusi.
Il tentativo di riscossa di Biden, per evitare questi scenari, è cominciato con l'incontro di mercoledì sera con i governatori, dove ha rivelato di essersi sottoposto a una visita medica dopo Atlanta: «Tutto bene, toccando ferro. La mia salute è ok. Il problema - ha scherzato - è il cervello…».
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Ieri mattina il presidente ha fatto un'intervista col conduttore radiofonico di Milwaukee Earl Ingram, ripetendo la linea difensiva nota: «Ho fatto un casino, ho sbagliato il dibattito. Ma sono stati 90 minuti sul palco, guardate quanto ho realizzato in 3 anni e mezzo di governo». Poi ha aggiunto: «Trump vuol fare il dittatore, i nostri diritti sono in gioco».
Subito dopo, per rilanciare l'immagine del leader in controllo della situazione, ha parlato al telefono col premier israeliano Netanyahu, per discutere le opzioni della realizzazione del suo piano in tre punti sul cessate il fuoco a Gaza e la ricostruzione della regione, dopo la risposta di Hamas. Quindi in serata ha partecipato alle celebrazioni per la Festa dell'Indipendenza.
Oggi farà l'intervista con George Stephanopoulos, che la Abc manderà in onda in prime time, e andrà in Wisconsin per un comizio, seguito poi dalla Pennsylvania. La prossima settimana ospiterà il vertice Nato a Washington: mostrarsi alla guida del mondo libero dovrebbe aiutarlo. In questo spazio temporale si giocherà tutto. Se non convincerà, insistere sulla corsa alla Casa Bianca potrebbe diventare insostenibile. E lui lo sa.
joe biden con kamala harris festa del 4 luglio
UNA CONVENTION APERTA O LE «MINI PRIMARIE»: COSA SUCCEDE SE SI RITIRA?
Massimo Gaggi per il “Corriere della Sera” - Estratti
Che convention sarà l’adunata democratica che inizierà il 19 agosto a Chicago se Joe Biden, alla fine, deciderà di ritirarsi?
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I tipi di convention Si parla di «open convention» quando nessun candidato arriva a destinazione avendo conquistato la maggioranza dei delegati. Ma Biden ha vinto il 99 per cento dei quasi 4.000 delegati democratici.
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Si avvicina più al caso attuale il modello della «brokered convention»: si arriva a Chicago senza un candidato predefinito e tocca ai personaggi più influenti del partito scegliere, dopo estenuanti trattative notturne, chi proporre agli americani come candidato presidente. Ma è un modello verticistico ideato quando erano i dirigenti del partito, non gli elettori, a decidere. Non a caso l’ultima «brokered convention» risale al 1952, quando il sistema delle primarie non aveva peso.
joe biden con kamala harris festa del 4 luglio
Chi vuole avere le mani libere nella scelta del successore di Biden sostiene che il suo ritiro equivarrebbe all’azzeramento delle primarie: tutto tornerebbe, così, nelle mani del partito. Se alla prima votazione nessun candidato dovesse ottenere la maggioranza assoluta di 1.976 voti, dal secondo scrutinio in poi ai 3.937 delegati si aggiungerebbero 700 superdelegati (parlamentari, governatori e dirigenti del partito). E si andrebbe davanti a oltranza. Uno scenario rischioso: una battaglia verticistica nella quale potrebbero emergere le profonde divisioni tra le varie anime del partito.
L’inevitabile Harris È anche per questo che la candidatura di Kamala Harris, fin qui poco considerata per la sua scarsa popolarità, risulta difficilmente eludibile. Biden ha già detto di considerarla il futuro dell’America: se si ritirerà, indicherà lei.
Bocciarla significherebbe dare uno schiaffo a tutto ciò che la ex senatrice della California incarna: il governo che ha condiviso con Biden, ora fuori gioco per motivi anagrafici ma autore di riforme importanti che sono il fiore all’occhiello col quale il partito democratico si presenta al voto ; e poi la prima donna arrivata alla Casa Bianca, sia pure da vice; e la prima nera con radici anche asiatiche.
joe e jill biden - vignetta by osho
James Clyburn, deputato del South Carolina e leader degli afroamericani, la più importante componente elettorale del fronte democratico, ha già detto che non possono esserci alternative a Kamala, in caso di ritiro di Biden.
Le «mini primarie» Ma se il presidente non si ritira, è possibile una sommossa della convention? Tecnicamente una ribellione di massa dei delegati è una possibilità, ma sarebbe un suicidio politico per il fronte democratico.
(...) Ma chi vuole riaprire la partita e spera che un vero confronto a sinistra attiri l’attenzione e rivitalizzi un elettorato progressista fin qui apatico davanti alla candidatura Biden, sta pensando addirittura all’organizzazione di un ciclo di «mini primarie»: i politici, come i governatori di California e Michigan, che si candidano alla presidenza presentano i loro programmi e si confrontano in eventi organizzati in cinque o sei grandi città americane e teletrasmessi: elettori coinvolti, nuovi sondaggi, delegati che hanno nuovi elementi per decidere.
Tutto, comunque, molto complicato e rischioso. Anche perché le liste per l’elezione in uno degli Stati, l’Ohio, si chiudono il 7 agosto: ben prima della convention che incoronerà l’aspirante democratico alla Casa Bianca il 22 agosto
joe biden donald trump 1 joe biden