Tommaso Ciriaco per la Repubblica - Estratti
giorgia meloni - foto lapresse
Un decreto che stabilisca per legge la lista dei paesi sicuri. Sfidando la magistratura. Restringendo al massimo la possibilità delle toghe di interpretare la sentenza della Corte di giustizia europea, quella che ha smontato il “modello Albania” e messo in crisi le politiche migratorie di Giorgia Meloni.
Una forzatura che la presidente del Consiglio porterà lunedì prossimo in consiglio dei ministri. Accompagnata, forse, da nuove norme che attribuiscano maggiore potere alle commissioni del Viminale che valutano le richieste di asilo, riducendo invece la possibilità del migrante di ricorrere davanti a un giudice. È un piano azzardato. Che apre una nuova, pesante crepa tra poteri dello Stato.
Per capirne la portata della sfida, bisogna partire dall’ira di Meloni.
Pubblica e privata. Incontenibile. La sentenza del Tribunale di Roma arriva nel giorno scelto per la missione in Libano. La premier si presenta davanti alle telecamere e si sfoga. Contro il pronunciamento dei giudici della sezione immigrazione della capitale, il suo primo bersaglio: «È molto difficile lavorare con l’opposizione di parte delle istituzioni. Così è impossibile difendere i confini. Non credo sia competenza della magistratura definire quali Paesi sono sicuri ». Tocca al governo, ribadisce.
La reazione è un consiglio dei ministri ad hoc che permetterà all’esecutivo di «chiarire meglio cosa si intende per Paese sicuro». E di farlo «per gli italiani, che mi chiedono di fermare l’immigrazione illegale».
migranti in albania - vignetta by vukic
Il piano, dunque. L’obiettivo è blindarsi con una legge di rango primario, irrobustendo l’impianto retto finora da un decreto interministeriale scritto da Interni, Giustizia ed Esteri. Esistono due opzioni al vaglio. La prima prevede un decreto legge che servirebbe a riproporre la lista dei ventidue Stati già indicati nel decreto interministeriale. La seconda immagina un intervento attraverso un disegno di legge governativo (non entrerebbe subito in vigore, ma dovrebbe attendere l’iter di approvazione parlamentare). In questo caso, l’elenco degli Stati in cui è consentito il rimpatrio verrebbe stilato da una commissione della Farnesina istituita per legge. L’obiettivo politico e giuridico è vincolare i magistrati a queste indicazioni, limitando al massimo la possibilità interpretativa (e in attesa che un regolamento che entrerà in vigore nel 2026 — questa la tesi dell’esecutivo — superi i problemi sollevati dalla Corte di giustizia Ue).
giorgia meloni alla camera foto lapresse
I rischi di questa forzatura sono evidenti. La via del decreto legge potrebbe determinare una frizione con il Quirinale. E la volontà di ridimensionare il raggio d’azione dei giudici — nonostante la sentenza europea — potrebbe portare il caso fino alla Consulta. Per il governo, però, l’obiettivo è molto più a breve termine: uscire dall’angolo, difendere il “modello Albania” — disintegrato in poche ore dai giudici romani — e lanciare un segnale alle toghe.
Ma non basta. Un altro colpo potrebbe arrivare da una serie di norme che potrebbero confluire nel nuovo pacchetto. L’idea è quella di affidare alle commissioni del Viminale le richieste di protezione internazionale, tutto verrebbe giustificato da ragioni di celerità. In questo modo, si proverebbe anche a limitare la possibilità di ricorrere in tribunale. Da tempo, la destra di governo ha nel mirino proprio le sezioni immigrazione, considerate politicamente orientate, come non mancano di sostenere in queste ore i big dell’esecutivo. Un’idea allo studio è affidare la valutazione ai giudici di pace o alle corti d’Appello.
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Per Meloni, non si tratta solo di un colpo contro l’hub in Albania: il tribunale, sostiene, fa collassare l’intera politica migratoria, rendendo impossibili i rimpatri. Tornano in privato le parole d’ordine del berlusconismo più aspro contro i magistrati «di sinistra» e le correnti «politicizzate », che tentano di «indebolire il governo». La reazione è un decreto legge contro le toghe. Una nuova battaglia è alle porte.
GIORGIA MELONI - FOTO LAPRESSE
LA FURIA DI GIORGIA MELONI PER LE SENTENZE SUI CPR IN ALBANIA E IL RISCHIO DANNO ERARIALE
Da open.online
Non l’ha presa bene. Giorgia Meloni è furiosa per le sentenze dei giudici di Roma che non hanno convalidato il trattenimento dei 12 naufraghi nel centro di Gjader. E mentre prepara un decreto sui paesi sicuri che però rischia di essere inutile, si sfoga. Mentre le opposizioni puntano sullo spreco di denaro pubblico e sull’ipotesi di danno erariale. Sotto la lente c’è il costo dell’operazione pensata con Edi Rama: 650 milioni in 5 anni di cui 120 per le due strutture di Gjader e Shengjin.
ellekappa vignetta meloni albania
Ma anche i viaggi nel Mediterraneo per portare i migranti fino ai centri. Ognuno costerebbe circa 80 mila euro. E di certo il primo è stato inutile. E la premier per ora punta il dito sui giudici: «Il problema è che è molto difficile dare risposte alla Nazione quando si ha l’opposizione di parte delle istituzioni».
La Corte dei Conti e la magistratura ordinaria
Ma la paura è quella di un intervento della Corte dei Conti. E, subito dopo, della magistratura ordinaria. Mentre il conflitto tra poteri dello Stato potrebbe finire per pregiudicare la durata della legislatura. «Come si difendono così i confini? Come si può gestire così l’ordine pubblico? Dove si trovano i miliardi dell’accoglienza?», sono le parole della premier riportate dal Corriere della Sera.
Mentre un autorevole ministro le ha girato la dichiarazione di Elly Schlein in cui si prefigura il danno erariale. «Occhio, Giorgia», c’era scritto nel messaggio di accompagnamento. «Schlein preannuncia l’intervento della Corte dei Conti. E dopo arriverà la magistratura ordinaria». Una prospettiva che porterebbe molte difficoltà in un finale di legislatura che si preannuncia scoppiettante grazie anche al referendum sull’autonomia differenziata.
giorgia meloni alla camera foto lapresse
L’opposizione dei giudici e la premier furiosa
I rischi di una forzatura con il decreto di lunedì 21 ottobre sono sotto gli occhi di tutti. La premier andrebbe allo scontro con i giudici. E rischierebbe anche di aprire una falla nel rapporto con il Quirinale. Mentre a quel punto diventerebbe anche probabile l’approdo del caso fino alla Corte Costituzionale. Che potrebbe essere chiamata a esprimersi proprio sulla legittimità di un decreto che contraddice una norma europea. In tutti i casi, finora, la decisione è stata la stessa. Ovvero la bocciatura delle norme nazionali. Intanto la premier sembra ancora adombrare complotti.
i primi migranti arrivati nel centro di prima accoglienza di Shengjin
«Dispiace che in un momento in cui tutta Europa guarda con interesse a qualcosa che sta facendo l’Italia, noi tentiamo di metterci da soli i bastoni tra le ruote», è la frase attribuita alla premier che circola a Palazzo Chigi. Il tribunale, sostiene, fa collassare l’intera politica migratoria. Rendendo impossibili i rimpatri. Tornano in privato le parole d’ordine del berlusconismo più aspro contro i magistrati «di sinistra» e le correnti «politicizzate». Che tentano di «indebolire il governo». Il rischio è che finisca allo stesso modo.
i primi migranti arrivati nel centro di prima accoglienza di Shengjin arrivata in albania a Shengjmn la nave della marina con 16 migranti arrivata in albania a Shengjmn la nave della marina con 16 migranti giorgia meloni alla camera foto lapresse.