Estratto dell’articolo di Luigi Ferrarella per www.corriere.it
«Se la Procura ci avesse depositato le chat dalle quali emergevano questioni economiche sottostanti ai rapporti tra l’imputato-dichiarante Vincenzo Armanna e quello che indicava come suo teste di riscontro, le decisioni di noi giudici e la motivazione del processo Eni-Nigeria sarebbero state più facili, e forse avremmo preso ulteriori decisioni, e forse alla fine in sentenza avremmo anche trasmesso gli atti» a carico di Armanna: il giudice milanese Marco Tremolada, che appunto presiedeva a Milano il processo per corruzione internazionale a carico del n.1 Eni Claudio Descalzi e di altri dirigenti Eni (poi tutti assolti lo stesso il 17 marzo 2021 “perché il fatto non sussiste”, ma attraverso un differente percorso motivazionale su una indiretta e più generale inattendibilità di Armanna), ha risposto così alle domande del Tribunale di Brescia che sta giudicando il procuratore aggiunto di Milano e responsabile del pool affari internazionali, Fabio De Pasquale, e il pm Sergio Spadaro (oggi alla nuova Procura Europea Antifrodi) per il reato di «rifiuto d’atto d’ufficio» nel non aver voluto depositare nel febbraio-marzo 2021 nel processo Eni-Nigeria prove segnalate loro dal collega Paolo Storari come potenzialmente favorevoli agli imputati.
L’udienza ha sottoposto a Tremolada tutti i documenti non depositati dai pm milanesi e ora imputatigli dai pm bresciani: su una questione di 50.000 dollari tra Armanna e il suo asserito superteste, sull’indottrinamento preventivo di un altro teste da parte di Armanna […], sulla falsificazione di talune chat presentate da Armanna come prova delle proprie accuse a Descalzi e al suo braccio destro Granata, sul fatto che le utente telefoniche attribuite a Descalzi e Granata o non appartenessero loro o fossero addirittura inesistenti, su un numero di telefono spacciato come quello a cui rintracciare il preteso superteste e invece ricollegabile proprio ad Armanna.
Poi, però, sia i pm bresciani Francesco Milanesi e Donato Greco, sia il presidente del collegio Roberto Spanò, hanno chiesto a Tremolada il suo punto di vista (a posteriori oggi) sui retroscena (all’epoca sconosciutigli) di una discutibile scelta dei pm De Pasquale e Spadaro del processo Eni-Nigeria nel gennaio 2020.
[…] Si tratta della richiesta rivoltagli dai pm, a istruttoria quasi finita, di convocare in extremis l’ex avvocato Eni Piero Amara come teste a sostegno di Armanna su interferenze di Eni su magistrati milanesi, tacendo però a tutti che sotto uno degli omissis si celassero in realtà le infanganti dichiarazioni rese intanto in altro fascicolo da Amara ai pm Storari e Pedio sull’asserito appiattimento di Tremolada sulle difese Eni: dichiarazioni che i vertici della Procura di Milano avevano già trasmesso alla Procura di Brescia (la quale poi le archiviò come infondate), e che, se fossero state ripetute in udienza da Amara proprio davanti a Tremolada, avrebbero forzatamente indotto il giudice ad abbandonare il processo quantomeno per opportunità.
Tremolada, il cui collegio quel giorno non ammise per tutt’altre ragioni formali la deposizione di Amara chiesta in quel modo da De Pasquale e Spadaro, ha risposto di non averne avuto all’epoca alcun sentore: «Non si è accorto dell’insidia che si nascondeva sotto quella richiesta di prova, quindi è stato fortunato…», ha provato a scherzare il presidente Spanò, ma Tremolada è apparso poco incline a scherzare e anzi ancora segnato dalla vicenda.
«Quando ho saputo dai giornali cosa era successo, sono rimasto molto male. E ancora adesso la cosa mi ferisce ogni volta che pur cerco di dimenticare. Le regole sono altre, per le regole i pm, se avessero ritenuto, avrebbero invece dovuto chiedere formalmente la mia astensione, io mi sarei astenuto dichiarando che quelle di Amara erano accuse false, e poi il presidente del Tribunale di Milano avrebbe deciso se farmi proseguire o no il processo. Invece quel modo mi ha ferito».
Al punto che, racconta Tremolada, «a lungo non ho più salutato Storari quando lo incontravo nei corridoi, assimilandolo agli altri pm» senza sapere (sino alle successive cronache giornalistiche) che proprio Storari, in una riunione con Pedio-De Pasquale-Spadaro e il procuratore Francesco Greco, si era opposto a quel tipo di utilizzo trasversale in udienza contro Tremolada dell’omissis celante le dichiarazioni di Amara.
FABIO DE PASQUALE SERGIO SPADARO
[…] Ancor più frastagliato […] il pomeriggio dedicato alle domande della difesa di De Pasquale e Spadaro al colonnello della Guardia di Finanza firmatario delle annotazioni che man mano riassumevano ai pm Storari e Pedio gli elementi che facevano pensare a una attività calunniatoria di Armanna ai danni di Descalzi e Eni, e che perciò a inizio febbraio 2021 Storari aveva sottoposto ai colleghi (tramite mail al procuratore Greco e a Pedio) come prove da dover comunque far conoscere a giudici e difese del processo Eni-Nigeria in via di conclusione.
francesco greco foto di bacco (2)
La combinazione tra la legittima intenzione dell’avvocato Massimo Dinoia di introdurre nel dibattimento alcuni temi che i suoi assistiti ritengono dirimenti, e l’evidente ancor solo parziale assimilazione delle tante carte del processo da parte dei giudici, ha infatti fatto sì che molto spesso il dialogo tra il presidente Spanò, l’avvocato difensore Dinoia e l’avvocato invece di parte civile Pasquale Annichiarico si sfilacciasse in malintesi, equivoci, approssimazioni attorno alle domande poste al colonnello Fabio Seragusa e alla comprensione delle sue risposte.
Molte volte il presidente del Tribunale non ha ammesso le domande di Dinoia («Utilizzare il teste per fare entrare tesi difensive attraverso le domande non è bene»), altre volte ha dovuto comprendere in un secondo momento la logica invece della domande, altre volte è apparso sommerso e travolto dai flutti di richiami a circostanze di altri procedimenti non padroneggiate.
i pm di Milano Fabio De Pasquale e Sergio Spadaro -U43070110205349sDC-593x443@Corriere-Web-Sezioni
L’esame del colonnello non è terminato e riprenderà il 20 febbraio, ma si è iniziato a intuire che la difesa di De Pasquale e Spadaro intende argomentare che Storari e la GdF abbiano errato nel mescolare cronologicamente segmenti di conversazione delle chat di Armanna e del suo teste provenienti in realtà da due diversi canali e vertenti a loro avviso su temi non sempre coincidenti; e che per questo Storari e la GdF avrebbero tratto conclusioni sbagliate ad esempio sul fatto che i famosi 50.000 dollari fossero legati in qualche modo a pagare la deposizione del teste nigeriano caldeggiato da Armanna, quando invece per de Pasquale e Spadaro il denaro veniva discusso in rapporto alla ricerca di un “file” a cuore di Armanna.
La frase tolta dalla bozza di informativa della GdF
Al colonnello è stato chiesto come nacque l’eliminazione, da una bozza di una sua informativa ai pm, del paragrafo in cui appunto collegava i soldi alla possibile corruzione del teste da parte di Armanna, e Seragusa ha risposto che «fu il risultato di un confronto con la dottoressa Pedio, la quale giustamente ci chiese «ma siamo sicuri che ci sia stato questo passaggio di soldi?»).
«Chiederemo anche alla dottoressa Pedio», indica Spanò. Per il colonnello, che oggi lavora sempre a Milano con la Procura vicediretta da Pedio e dove è in servizio Storari («non mettiamo la polizia giudiziaria in imbarazzo», prova a dire Spanò), alle domande delle parti risponde che lavorare con Storari e Pedio era molto proficuo perché la loro «era una accoppiata vincente nel bilanciamento tra i due approcci più battagliero e più prudente», esplicitati infine (su pungolo stavolta del giudice Spanò) nel fatto che «sicuramente c’era una diversità di vedute tra Storari, per le quali il senso delle chat sui soldi era già esplicito, e Pedio, per la quale invece non bastavano».
Nel suo lavoro con Storari e Pedio il colonnello ha anche assicurato di non aver mai parlato direttamente con De Pasquale del progressivo emergere di prove della calunniosità di Armanna («è mio costume lavorare a compartimenti stagni»), ma «sempre e di tutto con Storari e Pedio», notoriamente l’uno in reciproco gelo con De Pasquale e l’altra invece in quotidiani rapporti di colleganza d’ufficio e d’amicizia con il pari grado procuratore aggiunto e con il procuratore capo Greco.
«Ce lo potrà dire la dottoressa Pedio, tanto più dopo le cose pesanti che qui ci ha detto Storari nella sua deposizione», rinvia Spanò. Infine emerge un dato sulla sera in cui De Pasquale e Spadaro mandarono la GdF a indagare per falsa testimonianza, perquisire e sequestrare i telefoni al superteste nigeriano di Armanna dopo che questi in udienza lo aveva smentito e si era rimangiato quanto aveva anticipato in una lettera poi disconosciuta: «Sui telefoni sequestrati», dove più di recente si è appreso ci fossero anche chat simili a quelle di Armanna sul tema dei soldi legati o meno alla deposizione, «vi venne poi chiesto dai pm De Pasquale e Spadaro di analizzare il contenuto?», chiede il legale di parte civile al colonnello. «No, il mio gruppo non fece analisi, consultò credo la rubrica e gli ultimi messaggi, e per il resto consegnò ai pm il report integrale delle conversazioni».
piero amara laura pedio 3 Alessandra Dolci, Tiziana Siciliano, Laura Pedio, Letizia Mannella, Fabio De Pasquale gherardo colombo e francesco greco 1 laura pedio