Francesca Pierantozzi per “il Messaggero” - Estratti
«È un governo con il nulla osta di Marine Le Pen», ha commentato ieri François Hollande, quando è apparso chiaro che il futuro esecutivo del neo premier Barnier sarà appeso al buon volere dell'estrema destra e dei suoi 143 deputati. E il Rassemblement National, che ai ballottaggi del 7 luglio ha "subito" la diga tirata su dal Front Républicain, ora si pende la rivincita: il nuovo governo è tenuto a battesimo dalla loro astensione.
E così Macron, dopo quasi due mesi di consultazioni, si è dovuto piegare alla realtà: aveva indetto elezioni anticipate dopo la batosta alle Europee per arginare l'avanzata dell'estrema destra ma ora deve cedere all'evidenza dei numeri e ricorrere all'appoggio esterno di Marine Le Pen.
Del resto, tutti gli altri nomi circolati, dall'ex socialista Bernard Cazeneuve al gollista Xavier Bertrand, sarebbero caduti sotto il fuoco incrociato di destra e sinistra. E la nomina della candidata premier del Front Populaire Lucie Castets, è stata bollata come impossibile: non solo non sarebbe passata, ma avrebbe anche smontato tutte le riforme macroniane, in particolare quella delle pensioni.
Si è tornati così allo schema "destrorso", con l'appoggio di Le Pen che ovviamente non sarà gratis e arriverà solo dopo il discorso di insediamento di Barnier. Secondo Marine, comunque, il premier incaricato «sembra rispondere almeno al primo criterio che avevamo richiesto, ovvero qualcuno che sia rispettoso di tutte le diverse forze politiche».
Ancora di più: «È un uomo che non ha mai ceduto ad eccessi quando parla del Rassemblement national, che non ci ha mai messo al bando, è un uomo di dialogo». Per RN un'insperata, paradossale, opportunità di erigersi in elementi «responsabili» in grado di garantire un governo al paese.
Meno di due mesi fa erano i paria della République, cadevano vittime delle desistenze del Centro e della Sinistra in nome della democrazia, eccoli riabilitati ad ago della bilancia e "premier maker". Senza nemmeno la necessità di sporcarsi le mani in un governo che rischia di bruciare chi lo fa: un rischio letale per chi pensa a candidarsi alle presidenziali del 2027. «Non parteciperemo al governo - ha detto infatti subito Le Pen - ma vedremo quali sono i toni del discorso sul programma».
Stesso tono magnanimo da Bardella: «Giudicheremo sui fatti». Nessuno pensa che l'astensione sulla sfiducia non avrà qualche contropartita. La deputata del Rassemblement National Laure Lavalette è stata la prima a fare un elenco della spesa: «Introduzione di una dose di proporzionale, misure d'urgenza per sostenere il potere d'acquisto, lotta contro l'insicurezza e l'immigrazione, risanamento delle finanze pubbliche», curandosi di precisare che «il nuovo primo ministro conosce le nostre condizioni».
Altre fonti vicine all'estrema destra lepenista hanno precisato che per evitare la sfiducia il premier dovrà «rispettare il Rassemblement National» , evitare di trattare i suoi deputati come «degli appestati» e «non aggravare il problema dell'immigrazione, dell'insicurezza e non distruggere il reddito delle classi popolari e modeste». L'entourage di Le Pen ha confermato che Macron, dopo averli scartati dal primissimo giro di consultazioni, ha dovuto testare il loro gradimento dei primo-ministrabili.
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MACRON SCEGLIE BARNIER L’IRA DI MÉLENCHON: LADRI
Francesco De Remigis per “il Giornale” - Estratti
(…) è piuttosto un’operazione politica, forse l’unica possibile, per Macron. Virare a destra. Voleva farlo da tempo, ma l’ala sinistra del partito non gliel’ha permesso. E ora? Mettendo in scena un passaggio di consegne tra il più giovane premier della storia della V Repubblica e il più anziano, si apre una fase in cui la sinistra viene marginalizzata. I numeri, se macroniani e i centristi sosterranno come sondato Barnier, danno ragione a Macron.
Da vecchio leone addomesticato, Barnier dovrà chiarire se intende coabitare o collaborare col l’Eliseo. Deputato per la prima volta nel ’78, poi 4 volte ministro, sempre in governi di centrodestra. Per la prima volta nel ’93, poi a tre riprese nelle presidenze Chirac e Sarko.
Fuori dai confini, due volte commissario a Bruxelles tra il 2016 e il 2021. Ma è soprattutto nel delicatissimo compito di accompagnare la Gran Bretagna fuori dai 27 che ha dimostrato le sue doti di negoziatore. Ora da scala continentale deve ricondurre tutto sul piano nazionale e locale. C’è chi gli attribuisce similitudini nel negoziato pari a quelle di Angela Merkel.
Nella sua famiglia (gollista, dall’Rpr contribuì alla creazione dell’Ump oggi Républicains) lo chiamano il Joe Biden fracese. Metà tecnocrate metà politico. Ed è fumo negli occhi della gauche: i socialisti hanno già pronta una mozione di «censura». Sabato la manifestazione indetta dall’estrema sinistra di Mélenchon, contro la mancata nomina a Matignon di Lucie Castets, nome su cui aveva trovato un convergenza.
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