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GIANNI LETTA: «IO CANDIDATO DEL CENTRODESTRA? PER CARITÀ...»
Da Il Messaggero
GIANNI LETTA SILVIO BERLUSCONI
«Io candidato del centrodestra? Per carità...». Poche parole, anzi una battuta, in un video pubblicato da Fanpage e dal Fatto Quotidiano. Così Gianni Letta, ex sottosegretario alla presidenza del Consiglio, uno degli uomini più fidati di Silvio Berlusconi per rispondere alle indiscrezioni secondo le quali ci sarebbe stato anche lui in corsa per il Colle. In alternativa proprio al leader di Fi, oppure secondo altri retroscenisti proposto da Silvio stesso qualora si rendesse conto di non avere i numeri per farcela in prima persona. Gianni Letta, che qualche giorno fa aveva mandato un chiaro messaggio a Berlusconi («l'interesse generale sia la guida per tutti», aveva detto alla camera ardente di David Sassoli) si tira fuori. Nessuna risposta, invece, a chi gli chiedeva se la corsa di Berlusconi sia al capolinea.
BERLUSCONI PIÙ VICINO AL RITIRO SALVINI, VIA AL PIANO B
MARCO CONTI per il Messaggero
Più si infittiscono le telefonate più aumentano le voci di un Silvio Berlusconi scoraggiato per come procede l'operazione scoiattolo che dovrebbe portare alla candidatura del Cavaliere i voti che mancano al centrodestra per succedere a Sergio Mattarella. Lo scouting è in corso, ma non c'è solo Vittorio Sgarbi a mostrarsi pessimista malgrado nei giorni scorsi il parlamentare di FI si sia impegnato personalmente nella caccia all'indeciso.
Nella Lega di Matteo Salvini sono convinti che per il passo indietro del Cavaliere sia questione di ore, ma ad Arcore non sono dello stesso avviso e c'è chi pensa che neppure la riunione di domani a Roma di Berlusconi con Meloni e Salvini possa essere decisiva. Resta il fatto che Sgarbi dice ad Un giorno da Pecora di aver parlato anche ieri con Berlusconi e di averlo sentito «abbastanza triste» e che sta pensando «se c'è una via d'uscita onorevole, con un nome che sia gradito a lui, forse Mattarella». L'operazione, aggiunge il critico d'arte, «si è fermata oggettivamente».
È vero che «Sgarbi non è il portavoce di Silvio Berlusconi», come in coro si affrettano a spiegare Antonio Tajani e Licia Ronzulli, ma le considerazioni del critico sono condivise da buona parte del partito che, pur tifando per l'ex premier, ha ormai la certezza che non sia riuscito a mettere insieme i cento voti che mancano. «Giovedì Berlusconi avrà le idee più chiare, se decide di rinunciare il centrodestra ha diritto di fare le sue proposte e anche Fratelli d'Italia ha le sue proposte. Il centrodestra può giocare le sue carte, l'importante è che resti unito».
Giorgia Meloni, leader di FdI, va a Porta a Porta e anche lei, come Salvini, sostiene di avere già pronto un piano B. Il leader della Lega va anche oltre e sostiene di avere anche i numeri per provare a piazzare un candidato di centrodestra condividendolo prima con i centristi di Iv e Coraggio Italia. La coalizione sinora è stata unita sotto la possibile candidatura di Silvio Berlusconi.
I problemi potrebbero però sorgere dopo anche perché le priorità sono diverse. Berlusconi non vuole essere emarginato nella scelta del nuovo inquilino del Quirinale e potrebbe sciogliere la riserva solo lunedì rinviando anche il vertice. Gli piacerebbe un bis di Mattarella, ma Salvini e Meloni hanno già detto che non ci stanno. L'alternativa resta Draghi, come consiglia Gianni Letta, anche se all'attuale premier rimprovera in privato una scarsa riconoscenza visto che, sostiene, «fui io a volerlo alla guida di Bankitalia. Fui io a metterlo alla guida della Bce. Fui io ad aprirgli la strada per Palazzo Chigi impedendo la nascita del terzo governo Conte».
RIUNIONE DEL CENTRODESTRA A VILLA GRANDE
Ma se a Berlusconi interessa soprattutto la partita del Colle, Salvini guarda anche al governo sapendo che difficilmente potrà spingere la Lega all'opposizione nell'anno finale della legislatura che dovrà occuparsi della seconda rata dei fondi del Pnrr e licenziare l'ultima legge di Bilancio.
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E se Salvini sa che il rimpasto di governo lo otterrà solo mandando Draghi al Quirinale, la Meloni - che non esclude il voto a Draghi - inizia però a temere che il prossimo esecutivo possa intervenire sulla legge elettorale. «Se Draghi al Quirinale - sostiene la Meloni - significa un altro governo con un altro presidente del Consiglio che esce dal cilindro e una legge proporzionale per condannare l'Italia a governi di inciucio, allora io dico no». Sembra di capire che la leader di FdI cerchi garanzie dagli alleati i quali, qualora decidano di sostenere un nuovo governo, dovrebbero contrastare ogni ritorno al proporzionale che ridurrebbe di molto le aspirazioni a premier della leader di FdI.
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