Ilario Lombardo per “la Stampa”
DANILO TONINELLI LUIGI DI MAIO GIUSEPPE CONTE MATTEO SALVINI
I 5 Stelle incrociano le dita e puntano lo sguardo verso Palazzo Chigi. Hanno affidato a Giuseppe Conte l' ultima parola, quella risolutrice, sulla Tav. Il premier sta rifinendo la lettera che invierà a Telt, la società per metà francese e per metà italiana che è incaricata di realizzare l' opera, prima di lunedì quando si riunirà il consiglio di amministrazione per votare l' approvazione dei bandi per i lavori sulla Torino Lione. Nel pieno del dramma di governo, Conte ostenta serenità e lavora su diverse traiettorie, nella speranza di scongiurare la fine dell' esperienza gialloverde. Alcune sono strade più agevoli.
Altre meno. Le coordinate sono quelle che Di Maio traccia in conferenza. Il grillino vuole garanzie che «non vengano vincolati i soldi degli italiani», chiede che si faccia «sul serio una ridiscussione generale dell' opera come previsto dal contratto», prevede di trovare facilmente «le soluzioni tecniche se ci sarà un accordo politico» con la Lega.
Ma c' è un buco che è impossibile non notare nelle risposte di Di Maio ai giornalisti. Il capo politico del M5S non pronuncia mai la parola No. Certo, ribadisce di essere contrario alla Tav, ma non dice chiaramente e nettamente che i bandi non partiranno. Così come, il giorno prima, non ha detto un No definitivo nemmeno Giuseppe Conte, seduto sulla stessa sedia, al piano terra di Palazzo Chigi. E senza quel No, che incide una certezza in questa ingarbugliata scena di un matrimonio ormai in crisi, i bandi partiranno.
chiomonte no tav contro la polizia
Se non lunedì, qualche giorno dopo. Sempre che tutto rimanga così cristallizzato a ieri: Di Maio da una parte che chiede a Matteo Salvini di restare a Roma e parlarsi. Salvini dall' altra che pubblica la sua agenda fitta di impegni dove è previsto che tornerà a Roma solo giovedì. Non è escluso però un incontro a Milano domenica (Di Maio sarà al villaggio Rousseau).
Vedremo come finirà, in questi mesi altre volte il duello gialloverde si è rivelato un innocuo duetto e Salvini ci potrebbe mettere un attimo a dare a Di Maio quel segnale richiesto per potere placare l' ira del grillino. A margine della conferenza però l' ammissione del leader del M5S è rassegnata: «A ora non è possibile fare atti per bloccare i bandi». Lo riporta Radiocor. Nessuno smentisce. Anzi, i suoi collaboratori confermano una banalità: «Salvini sa che stando fermi, i bandi partono. L' inerzia lo premia».
E allora che succederà in queste tremende 48 ore che mancano alla riunione del cda di Telt? La risposta va cercata a Palazzo Chigi. Prima ipotesi: rinviare i bandi di sei mesi. È quanto aveva chiesto di fare Di Maio a Conte. La trattativa con la commissione europea sarebbe già a un punto morto. Il premier ha chiesto di avere questo margine temporale per rivedere il progetto con i francesi. Da Bruxelles gli avrebbero fatto sapere che non è possibile.
Da Roma però non demordono e dicono che il dialogo resta aperto. Seconda ipotesi: Telt riscrive i bandi e al loro interno inserisce una clausola che li rende più vincolati alle decisioni del governo. È l' ipotesi più concreta. Quella che la società si aspetta di leggere nella lettera di Conte. Di fatto è una revisione più stringente della norma già prevista dal codice degli appalti francese. La cosiddetta clausola di dissolvenza.
Qualche settimana fa era stata la dirigenza di Telt a scrivere una nota ai due governi per illustrare questa possibilità. Funziona così: i primi sei mesi dalla pubblicazione dei bandi sono quelli della manifestazione di interesse e vengono raccolte le autocandidature delle aziende. Alla fine dei sei mesi, prima dell' assegnazione dei capitolati di gara servirà un nuovo via libera dei governi, altrimenti non si procederà con l' assegnazione. In un primo momento - basta rivedere le dichiarazioni del ministro Danilo Toninelli - Di Maio sembrava favorevole.
CHIARA APPENDINO LUIGI DI MAIO NO TAV
Ma i sindaci No Tav gli avrebbero spiegato che l'«interesse generale» di uno dei due Paesi come motivazione per far decadere l' avvio dei lavori è una formula troppo blanda e vaga, opinabile e non basta a schermarsi da eventuali ricorsi. Servirebbe una motivazione più specifica. Una subordinata da inserire nei bandi per neutralizzarli e che toglierebbe alle imprese la possibilità di pretendere un risarcimento. Ma potrebbe comunque non bastare ai 5 Stelle. Se a Palazzo Chigi, infatti, Conte continua a ripetere al suo staff - «c' è tanto teatro, state sereni, non succederà nulla» - diverso è il clima nella pancia del M5S.
Di Maio è terrorizzato dall' ok ai bandi. Ha ascoltato le sfuriate dei parlamentari. Sa che per i No Tav e i 5 Stelle torinesi non è prevista un' opzione B: «Lunedì rischia di cadere la Appendino» ripete, consapevole che anche con il Sì in Senato diversi senatori strapperebbero. La maggioranza non esisterebbe più. E allora tanto vale far cadere questo governo tenendo alta per una volta la bandiera della coerenza.