Tommaso Labate per il Corriere della Sera
«Allora, ragazzi, statemi a sentire bene a sentire su questo punto, visto che queste ricostruzioni di me e Calenda come due galli che litigano nel pollaio per me non devono esistere…». Raccontano che negli ultimi due giorni, davanti all’ennesimo capitolo della saga «Calenda versus Renzi e viceversa», potenzialmente la soap opera più longeva della politica italiana, uno dei due protagonisti, e cioè Matteo Renzi, abbia chiamato i dirigenti di Italia Viva più presenti in tv e sui social.
«La mia indicazione è chiara: a Calenda non dovete rispondere. Zitti, zero, niente». Uno degli interpellati ha provato a reagire alla regola d’ingaggio: «Matteo ma che te ne frega? Tanto si sa che Calenda litiga con tutti e poi fa pace da solo». Niente da fare, il leader di Italia Viva da quest’orecchio ha deciso di non volerci sentire più. «Forse non sono stato chiaro. Non dovete rispondergli mai. Io non litigo con lui e quindi voi non litigate con lui!».
La corsa renziana a fuggire dalla gabbia retorica dei «due galli in un pollaio», fattasi urgente soprattutto perché il perimetro del pollaio in questione – sondaggi alla mano – è comunque ristretto, è la dimostrazione di come i due, Renzi&Calenda, vengano ormai percepiti come la stessa cosa.
Elaborazione politica del tipo italico bonariamente raccontato sessant’anni fa da Gianni Morandi, che oggi forgia il dibattito sul nuovo Centro con lo stampino del «digli a quel coso che gli spaccherò il muso», i dioscuri della zona di confine che inizia là dove finisce il Pd e finisce là dove inizia Forza Italia sono come due cariche elettriche dello stesso segno;
carlo calenda e il nuovo simbolo di azione
e, come tali, si respingono. «Calenda non capisce niente», disse ai fedelissimi Renzi dopo una ferocissima litigata telefonica con l’altro, nell’agosto del 2019, quando il non ancora leader di Azione tentava di convincere il non ancora leader di Italia Viva (entrambi stavano nel Pd) a non aprire al patto coi M5S per mandare all’opposizione Salvini.
«Del centro di Renzi non me ne po’ frega’ de meno. Faccia quello che gli pare, se ne vada in Arabia Saudita», scandiva Calenda a L’aria che tira su La7 qualche settimana fa, prima che si aprisse l’ennesimo giro di valzer che ha portato i due allo stesso identico finale di puntata che attende all’arrivo due personaggi così uguali.
E cioè colpire uniti (contro la candidatura di Giuseppe Conte al collegio di Roma 1) per poi finire inesorabilmente a marciare divisi (Calenda aveva proposto a Renzi la candidatura di Elena Bonetti, poi però ha cambiato idea e candidata) per poi consegnarsi al probabile destino di una sconfitta comune (il candidato di compromesso potrebbe essere il giovane Valerio Casini, recordman di preferenze nelle liste di Calenda ma renziano doc).
Già, perché la storia di Calenda&Renzi sembra figlia del guizzo di uno sceneggiatore che immagina due «ego« e neanche un «alter», come Mister Hyde&Mister Hyde senza Dottor Jekyll; oppure personaggi raddoppiati, tipo Stanlio&Stanlio senza Ollio o Tom&Tom senza Jerry. Uno che li conosce bene entrambi dice di loro che «Carlo e Matteo sono la versione politica delle due bevande al gusto di cola che si contendono la palma di migliore: i sostenitori dell’uno e dell’altro stanno lì a elencarti differenze che a loro dire si vedrebbero a occhio nudo, ciascuno parla male dell’altro ma soprattutto, per la stragrande maggioranza di chi li beve distrattamente o non li beve proprio, sono più o meno la stessa cosa».
L’elenco dei dispetti reciproci degli ultimi anni, tra due personaggi finiti nello stesso punto dello scacchiere senza mai piacersi neanche un po’, è infinito. «Carlo è così, a volte gli piace litigare anche con gli amici», ha scandito l’altro giorno in tv un Renzi in versione finto zen. Calenda, quantomeno di recente, ci va giù più pesante, «quel modo di far politica mi fa orrore»(novembre 2021), «il modo di gestire le cose di Renzi è folle» (gennaio 20201). Le cariche elettriche di Italia Viva e Azione, insomma, si respingono sempre più. Anche se poi, alla fine, bastano un Conte o un Letta per rivederli colpire uniti, salvo poi marciare di nuovo divisi e per poi riprendere a litigare. Come in quelle autoradio in cui la musicassetta, appena finita, riprendeva a suonare daccapo le stesse canzoni. E nello stesso ordine.
CARLO CALENDA MATTEO RENZI carlo calenda.