Estratto dell’articolo di Lorenzo Salvia per il “Corriere della Sera”
«Sono innocente, lo dimostrerò. Ma non mi sento una vittima, mi sento un trofeo». Un trofeo? «Sì, il trofeo di una persecuzione politica di cui fa parte un pregiudizio, un pregiudizio che comunque c’è nei confronti dei parlamentari e dei politici del Sud Europa. I maltesi, i greci, gli italiani e così via». Ma persecuzione da parte di chi? Lei alza gli occhi al cielo.
Bruxelles, lunedì scorso. Nella sala colloqui del carcere di Haren Eva Kaili entra con un sorriso, nonostante tutto. Jeans, sneaker, sopra la camicia bianca il gilet verde bordato di nero che in Belgio devono indossare tutti i detenuti.
Dall’altra parte del tavolo c’è Deborah Bergamini, deputata di Forza Italia, membro della delegazione Italiana all’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa. E che proprio sulla detenzione di Kaili a gennaio ha presentato un’interrogazione alla segretaria generale del Consiglio europa Marija Buric.
«Grazie per essere venuta a trovarmi — le dice l’ex vice presidente del Parlamento europeo, prima ancora di mettersi a sedere — apprezzo il suo coraggio». Coraggio? «Sì, coraggio. Lei è la prima parlamentare che viene qui in carcere per vedere come sto. Finora non è venuto nessuno. Nessuno dal mio partito, nessuno dalla mia Grecia».
Non è un dettaglio. I suoi avvocati avevano detto che era stata «sottoposta a tortura» perché nelle prime sedici ore dopo l’arresto era stata lasciata senza acqua, al freddo, con una luce sempre accesa. Adesso del regime carcerario non si lamenta. «Ma dopo il clamore dei primi giorni di questa vicenda non parla più nessuno. Vengo ignorata, sono stata dimenticata, anzi cancellata».
Sono passati quasi quattro mesi dall’inizio del Qatargate, più di cento giorni da quel 9 dicembre, quando Kaili è stata arrestata insieme ad altre otto persone, tra le quali il suo compagno Francesco Giorgi, assistente parlamentare che a Bruxelles aveva lavorato con l’ex deputato europeo Antonio Panzeri, anche lui finito in carcere. Un intreccio complicato da leggere anche per gli investigatori belgi. «Panzeri è stato molto manipolativo con il mio compagno» commenta lei, vincendo una certa resistenza a parlare delle altre persone coinvolte.
L’accusa è quella di corruzione. Kaili avrebbe tentato di influenzare le decisioni del Parlamento europeo che riguardavano il Qatar in cambio di denaro. Contro di lei ci sono i 600 mila euro in contanti che la polizia le ha trovato a casa, il suo discorso al Parlamento europeo in cui definiva il Qatar «in prima linea per i diritti dei lavoratori».
[…] «Nelle prime sei settimane — le ha raccontato Kaili — mi è capitato di pensare al suicidio. Più volte. Poi è scattato qualcosa». L’ex presidente del Parlamento europeo si ferma qui. Ma la fine di quelle sei settimane è molto vicina al momento della svolta dell’inchiesta, quando Panzeri decide di collaborare con i magistrati e per questo ottiene uno sconto di pena e gli arresti domiciliari. Difficile che sia solo una coincidenza. […]
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