Maria Teresa Meli per il "Corriere della Sera"
Loro, cioè Enrico Letta, Giuseppe Conte e Roberto Speranza, giurano di non aver fatto nomi quando si sono incontrati per stringere un patto di consultazione in vista del voto del Colle. Ma nei conversari privati dei tre leader della fu maggioranza giallorossa il nome di Mario Draghi è già ricorso più volte. E anche quello di Giuliano Amato.
L'intesa dell'altro giorno ha come obiettivo immediato quello di «stoppare» la candidatura di Berlusconi. «Non può presiedere il Csm chi ha avuto controversie pregresse con i magistrati», ha sottolineato Conte e i suoi interlocutori si sono detti d'accordo.
Ma nella mente del segretario del Pd quel patto ha uno scopo più ambizioso: «La costruzione di un percorso che culmini con un'elezione alla Ciampi e non con un'elezione non consensuale». E per raggiungere questo traguardo Letta ha bisogno della sponda del M5S, ben sapendo che i grillini non sono certo una falange compatta. Rispetto ai suoi due interlocutori dell'altro giorno, però, il leader dem è assai più aperto all'ipotesi Draghi al Quirinale.
«Sono pronto a ragionarne», ha detto ai suoi, lodando lo stile «da civil servant» dimostrato dal premier in conferenza. Non è un caso, dunque, se le note ufficiose di Pd, M5S e Leu, diffuse ieri dopo le parole di Draghi, fossero solo all'apparenza identiche. Infatti se i 5 Stelle e la sinistra di Speranza facevano sapere che per quanto li riguarda Draghi deve restare al governo, la nota dem era molto più sfumata. Lì si parlava della legislatura che deve «andare avanti fino al suo termine naturale in continuità con l'azione di governo». Sottigliezze, si dirà, ma in politica fanno la differenza.
Raccontano che Conte non abbia digerito la vicenda Rai, il cui esito imputa a Draghi. Per quanto riguarda Leu peserebbe l'influenza di Massimo D'Alema, che preferirebbe Amato. Letta invece è più possibilista: «La mia priorità - spiega spesso ai suoi - è tutelare Draghi». «Qualsiasi ruolo ricopra», aggiungono al Nazareno. Il che non significa che anche per il segretario dem il premier sia «insostituibile», ma se la volontà dell'inquilino di Palazzo Chigi è quella di trasferirsi al Quirinale Letta non si opporrà.
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Però il leader del Pd, come ha sottolineato ai parlamentari amici, ritiene che a quel punto Colle e governo, diventino «due questioni legate, da affrontare insieme» e «se i partiti non chiariscono prima cosa succede dopo l'eventuale elezione di Draghi al Quirinale la strada si farebbe in salita». Insomma, secondo Letta «serve una discussione seria e ordinata, senza manovre di palazzo, tanto più davanti alla recrudescenza della pandemia, che resta sempre la questione fondamentale da valutare». Certo, il leader del Pd sa bene che la strada è ancora lunga e che deve impegnarsi non solo a mitigare le ansie dei grillini ma anche i dubbi dei parlamentari dem. Quelli di «Base riformista» vogliono che Draghi resti al governo. E il franceschiniano Franco Mirabelli è dello stesso avviso. Per questa ragione Letta per il 13 gennaio ha convocato i gruppi e la Direzione: perché spera che in quell'occasione il partito si dimostri unito. O che, quanto meno, ognuno si assuma le proprie responsabilità.
giuseppe conte a tagada 2 ENRICO LETTA MARIO DRAGHI