MARCO ANTONELLIS per Italia Oggi
Pare che il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte non abbia convinto affatto il numero uno di Confindustria Carlo Bonomi nel loro incontro agli Stati Generali a dispetto di quanto lasciato intendere dalle fonti di Palazzo Chigi. E sembra anche che tra i due la frattura sia ben più ampia e profonda, più di quanto non si dica.
Certo, da tempo i pontieri delle due parti sono al lavoro, il Presidente del Consiglio sta facendo di tutto per invitare a Palazzo Chigi il numero uno di viale dell'Astronomia ma al momento non c'è nulla di deciso: «In questa fase bisogna avere il consenso di tutti, non si governa il paese senza Confindustria» spiegano dalla maggioranza di governo. Perché è giusto dialogare con la Cgil ma non si può perdere di vista il mondo industriale.
Certo, a Palazzo Chigi c'è chi rimpiange il past-president Boccia; con lui il rapporto era molto più solido. Ma almeno per il momento bisogna fare buon viso a cattivo gioco e mordersi la lingua anche quando le risposte avrebbero potuto essere molto più dirette e taglienti.
Le diversità di vedute con gli industriali sono ancora tante troppe, i dubbi anche. Perchè la vera preoccupazione dalle parti di viale dell'Astronomia è la seguente: «Non è che alla fine ci diranno che i soldi sono finiti?» Ecco perchè Bonomi non ha perso tempo ed è subito andato a battere cassa presentandosi agli Stati Generali con la «lista della spesa».
Il terrore tra gli industriali è che un governo già in bolletta non li possa aiutare in nessun modo e che a Palazzo Chigi stiano solo facendo ammuina per cercare di indorare la pillola.
giuseppe conte carlo bonomi lorenzo guerini
Ma è l'intero modus operandi del governo a non piacere, a cominciare dal piano Colao giudicato troppo generico e scontato «buono per tutte le stagioni» passando per la gestione della cassa integrazione per finire con la gestione lenta e farraginosa dei dossier europei («il governo tira a campare, prende tempo per passare l'estate perchè più tardi presenta il piano per il rilancio del paese e più dura ma aspettare ancora è un lusso che nessuno in queste condizioni si può permettere». Insomma, il timore degli industriali (e non soltanto il loro) è che si stia ballando sul Titanic.
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