Antonio Polito per “Sette – Corriere della Sera” - Estratti
Marcello Dell'Utri ha frequentato assiduamente il tribunale degli uomini. La sua biografia conta dodici procedimenti giudiziari. Due si sono conclusi con condanne definitive, una a 7 anni di reclusione per concorso esterno in associazione mafiosa, e una a 8 mesi per abuso edilizio.
È stato assolto quattro volte in Cassazione, una volta prosciolto, una volta prescritto, due volte archiviato, una volta ha patteggiato per fatture false e frode fiscale. Contro di lui è ancora in corso un'indagine per estorsione ai danni di Berlusconi. Da pochi giorni la procura di Firenze ne ha chiesto il rinvio a giudizio per violazione della normativa antimafia e per trasferimento fraudolento di valori.
Gli domando come pensa di cavarsela, quando verrà il momento, davanti al tribunale di Dio. Che cosa si aspetta gli dica il Giudice Supremo? «Penso che Dio mi dirà: non ti preoccupare, sono tutte minchiate. Io la so la verità, come sono andate le cose, ma in quel momento me la confermerà qualcuno più in alto di me. D'altra parte, aspetto che da un giorno all'altro la riconosca anche la giustizia degli uomini».
silvio berlusconi dell'utri - il giovane berlusconi
Dell'Utri tira fuori dalla tasca interna della giacca blu (è sempre elegante e curato, indossa molto bene i suoi 83 anni) un'agendina rossa. La consulta ogni volta che parliamo di una scadenza giudiziaria, appelli, ricorsi, sentenze. I processi sono una parte cospicua della sua vita, difficile tenere tutto a memoria.
«Ecco» dice trovando l'appunto «i miei legali dicono che a giorni si pronuncerà, dopo dieci anni, la Corte Europea dei Diritti di Strasburgo sul mio ricorso contro la condanna. E la sentenza non potrà che ricalcare quella emessa per il caso gemello che ha riguardato Bruno Contrada (il dirigente di Polizia che era stato condannato in Italia a 10 anni in via definitiva per lo stesso reato, ndr): il concorso esterno alla mafia è un ossimoro, in Europa non riescono neanche a capire che cosa sia. Dunque, sarò finalmente riabilitato. E così Dio mi dirà: hai sofferto, ma grazie alla tua sofferenza ora ti meriti la beatitudine eterna».
Scusi senatore, ma non ha neanche una cosina da confessare? Un peccatuccio di cui pentirsi?
«Peccati tantissimi, come no!».
Allora me ne dica uno.
«La masturbazione, per esempio. Quando ero in collegio dai preti mi minacciavano delle peggiori cose, è da allora che ho imparato ad ascoltare i precetti della Chiesa fino a un certo punto…».
Dell'Utri è stato a scuola dai salesiani e poi dai gesuiti. Dà l'impressione, con quella sua aria da gran cinico, con il sottile sarcasmo siciliano che nasconde dietro un'affettazione di fanciullesca innocenza, di essere quello che si potrebbe definire un “immoralista”. Di seguire cioè una morale tutta sua, in virtù della quale ha camminato spesso sul filo del rasoio della morale comune, e dunque delle leggi.
miranda anna ratti moglie di dell'utri
«C'è del vero in quel che dice. Ho sempre fatto ciò che sentivo giusto fare in quel momento. Non mi sono mai posto la domanda se commettevo reati. Sono stato avventuroso, lo ammetto. Avventuroso, per esempio, nel seguire Berlusconi in tutto e per tutto. Non mi sono mai chiesto se sostenerlo e aiutarlo nella sua incredibile capacità di fare era un reato.
Avventuroso fui a lavorare per un breve periodo con Rapisarda (immobiliarista siciliano accusato del crac Inim, azienda con capitali in odore di mafia, ndr): un lestofante, ma di grande fascino e simpatia. Ho fatto cose rischiose nella mia vita, ma mi sembrava di fare cose buone. Le rifarei? Sì, senza dubbio».
Portare Vittorio Mangano ad Arcore è stato più che rischioso. Gli è costata una condanna per mafia e molti anni di carcere...
«Eppure, è una storia semplice. L'avevo conosciuto insieme con Gaetano Cinà alla società calcistica di Palermo Bacigalupo, che avevo fondato giovanissimo, di cui ero direttore sportivo e dove presi Zeman come preparatore atletico. Io sono un uomo di calcio, sono stato il più giovane allenatore dilettante d'Italia».
E qui mi mostra il tesserino di Coverciano e il primo contratto firmato da Berlusconi, che lo assunse giovanissimo per allenare la Torrescalla: voleva dare una squadra al fratello più giovane, Paolo, che era bravino col pallone.
Ma torniamo a Mangano, lo “stalliere di Arcore” «Fattore, in realtà; lui si sarebbe offeso a sentirsi chiamare stalliere. Succede questo. Che nel ‘74 io ero segretario di Silvio, e lui compra Villa San Martino. C'erano cento ettari di terreno, in gran parte occupato abusivamente da contadini, c'erano cavalli e cani.
Berlusconi mi chiede di trovargli un fattore, ad Arcore non ci si riusciva. “Tu sei siciliano”, mi dice, “sicuramente conosci qualcuno”. E a me viene in mente Mangano. Lui accetta e viene su con moglie, suocera e due figli. Si rivelò molto capace, sia con i cavalli sia con i contadini. Era un personaggio inquietante, faceva paura, fisicamente imponente e dallo sguardo severo. E questo contò molto nella scelta. Così Silvio cominciò a usarlo anche come guardia del corpo per la moglie e i figli, quando andavano a Milano».
Quindi si capiva che era un uomo di rispetto, come si dice in Sicilia? (Mangano è morto mentre scontava numerose condanne per omicidio, secondo Borsellino era uno delle “teste di ponte” della mafia al Nord, ndr).
«In Sicilia si avverte chi è un uomo di rispetto, ma non si può dire nulla se uno è incensurato. Cinà, per esempio, era titolare di una tintoria accorsata, tutti dicevano che era un uomo di rispetto ma mi mostrò il suo certificato penale, era pulito. Di Mangano non potevo aver alcun sospetto di affiliazione alla mafia. Solo dopo è venuto fuori che era il capo di un mandamento di Palermo».
SILVIO BERLUSCONI MARCELLO DELL'UTRI
Dell'Utri, lei ha definito una volta Mangano «un eroe».
«Non è esatto, io dissi “il mio eroe”. Perché, se avesse detto qualsiasi cosa contro di me e Silvio, anche non vera, lo avrebbero scarcerato subito. Non l'ha fatto, non accettò di mentire per salvare sé stesso».
Un po' come ha fatto lei con Berlusconi? È per questo che le ha lasciato in eredità 30 milioni?
«Lo dicono i malpensanti. Invece io credo che con quel gesto generoso lui mi abbia voluto risarcire di tutti gli emolumenti che non ho ricevuto a causa della condanna e del carcere: quando Mediaset è stata quotata in Borsa, avrei infatti ricevuto anch'io come gli altri manager un pacchetto di stock options. Ecco, penso che l'abbia fatto per questo».
Come è il carcere?
DELL UTRI E I FRATELLI GRAVIANO NELLE STESSE ZONE - PRIMA PAGINA FATTO QUOTIDIANO 5 MAGGIO 2023
«Un incubo assoluto. Se non sei ben strutturato ci puoi lasciare le penne. Anche se io ero in cella da solo, e c'è un detto tra i detenuti: “cella singola mezza prigione”. La cosa più degradante è convivere, in due, in tre, in quattro, in spazi così ristretti, in una tale forzata intimità. Non c'è nessuna forma di riabilitazione. Molti condannati diventano in carcere più delinquenti di prima. Ho ascoltato con le mie orecchie i piani di tanti che passavano il tempo preparando nuovi reati per quando sarebbero tornati liberi.
Io mi sono salvato grazie al libro. Mi sono iscritto a un corso di laurea in Storia presso l'Università di Bologna. Quando studiavo, evadevo. Non ero più dietro le sbarre, ma libero, come se fossi stato a casa mia, a Milano o a Roma. Mi mancano ancora otto esami, magari a cent'anni mi laureo.
(…)
Dell'Utri è cattolico. Dell'Opus Dei?
«Solo concorso esterno. Da giovanissimo sono stato un “numerario”, ma poi un semplice “cooperatore”. Ho conosciuto personalmente il fondatore Escrivà de Balaguer, un grande santo, ci ha spiegato che c'è non bisogno di uscire dal mondo, che ci si può santificare con il lavoro ordinario di ogni giorno».
E che cosa pensa le accadrà nel momento della morte?
«Niente, non succederà nulla. È un transito. Passi dalla vita alla morte, che del resto stanno sempre insieme fin dal giorno della nostra nascita. Perciò non mi fa paura, l'importante è che arrivi senza dolore.
Non so niente di inferno e paradiso, se non quello che ha scritto Dante, che sicuramente era un iniziato perché conosceva troppe cose. Però so con certezza che l'anima, o comunque si chiami ciò che ci anima, non sparisce. Solo il corpo scompare. L'anima andrà da qualche altra parte. E alla fine, come scrive Dante nel Paradiso, vedrà una grande Luce. La mia fede è limitata, però credo nella vita di Cristo, personaggio storico realmente esistito, e credo nella sua promessa di immortalità».
Dell'Utri preferirebbe la sepoltura alla cremazione.
«Capisco che possa sembrare più semplice e funzionale, ma terra siamo e alla terra dobbiamo tornare. L'incinerazione non mi piace per niente. Silvio, che pure si era fatto costruire una cappella per ospitare il suo corpo dopo la morte, alla fine ha scelto la cremazione, come aveva fatto per i genitori. Però devo dirle che, quando vado alla cerimonia di ricordo ad Arcore, il giorno 12 di ogni mese, mi fa una certa impressione vedere quella teca sull'altare, pensare che Silvio è ridotto in cenere».
marcello dell'utri dopo la scarcerazione
Dell'Utri faceva parte della “banda dei quattro”, sempre insieme con Silvio, Fedele Confalonieri e Gianni Letta.
«E non avrei mai immaginato che sarebbe stato lui il primo ad andarsene. Mi sembrava impossibile. Per me era un punto di riferimento. Dipendevo letteralmente da lui, dai suoi pensieri, dalle sue parole, dai suoi inviti a pranzo o a cena. Era il bastone cui mi appoggiavo in tutto e per tutto. Mi manca terribilmente...».
Che cosa sa delle sue ultime ore?
«Non ero con lui. So che la sera prima non si era sentito bene, aveva chiesto di vedere un dottore, era andato Zangrillo e l'aveva rassicurato: lei è qui nella migliore clinica, non si preoccupi. Marta mi ha raccontato che la mattina dopo è stato male e si è rapidamente spento tra le sue braccia. Tenga presente che lui era lì solo per un controllo. Appena qualche giorno prima l'avevo visto ad Arcore, lavorava come al solito di suo pugno a un nuovo statuto per Forza Italia, che trovava un po' stanca. “Bisogna rinnovare tutto”, diceva, “e tu mi devi dare una mano a selezionare nuovi candidati”. Io resistevo, così mi consegnò il testo di una prima riflessione che aveva scritto chiedendomi di pensarci e riparlarne. Non ne abbiamo più avuto il tempo».
marcello dell'utri dopo la scarcerazione 2
Dell'Utri conserva quelle quattordici cartelle.
«Era una specie di manuale rivolto agli attivisti azzurri, preciso fin nei dettagli, per un porta a porta contro l'assenteismo elettorale, che Silvio considerava il maggior pericolo per la democrazia e dunque per Forza Italia. Cominciava con queste parole: “Si suona il campanello. Viene ad aprire una signora o un signore.
Buongiorno, signora/signore, io, come vede dal mio distintivo (quello rotondo) sono un azzurro di Forza Italia e, insieme ad altri amici, stiamo domandando alle persone se alle ultime elezioni politiche di più di un anno fa sono andate a votare. Se non sono andate, chiediamo di dedicarci qualche minuto e cerchiamo di spiegare che hanno commesso un grave errore contro il loro stesso interesse…”».
È vero che Forza Italia e la famiglia Berlusconi complottano contro il governo Meloni?
«Tutte fesserie. Che interesse avrebbero a farlo? Basta che Marina incontri Draghi perché ci si chieda che cosa c'è dietro. Ma dietro non c'è niente, magari hanno parlato di fare un libro per Mondadori. I figli di Silvio non entreranno in politica, sanno che sarebbe fuori luogo. Devono pensare all'azienda e guidarla come faceva il padre. Il quale fu costretto a scendere in campo».
E lei era d'accordo?
«Io seguivo Silvio e lo aiutavo, punto e basta. Letta e Confalonieri invece si opposero. Ma poi vincemmo le elezioni, Silvio divenne presidente del Consiglio, Letta andò a Palazzo Chigi e io in carcere».
L'armonia con cui gli eredi, seppure figli di due diversi matrimoni, hanno diviso l'eredità paterna ha colpito molti, anche per la differenza con altre dinasty di grandi imprenditori finite in tribunale.
«Silvio è stato un grande padre, chiamava ogni giorno tutti e cinque i figli. E Marta ha fatto un grande lavoro nell'aiutarlo a tenere la famiglia unita. Gli faceva quasi da segretaria nel rapporto con i figli. È una donna in buona fede, ha sofferto e soffre sinceramente, non si è ancora ripresa dalla scomparsa di Silvio».
Che dovrebbe fare ora Tajani?
«Niente. Non deve fare niente. Lui è bravo, per carità, ma quando hai sul simbolo la scritta “Berlusconi presidente” non è che come leader puoi fare molto di più. Il partito gode della rendita di posizione di rappresentare, da solo, il moderatismo italiano. Basta non fare errori… Ai nostri tempi era diverso, c'era Gianni Letta, noi lo chiamavano “smorzaitalia” perché era un vero democristiano, amico di tutti e capace di farsi benvolere da tutti. Si scriveva “governo Berlusconi” ma in realtà era un “governo Letta”, era lui che aveva il libro delle nomine. A mezzanotte si presentava da Silvio: lui proponeva e Berlusconi firmava».
Mi chiedo come mai Dell'Utri non abbia ancora scritto un'autobiografia.
«Me lo chiedono in tanti, da ultimo Filippo Facci che è venuto a vivere nel mio condominio e si è proposto di aiutarmi. Ma io preferisco leggere. Ora poi sono impegnato in un'opera erculea: aprire una biblioteca pubblica dedicata alla Sicilia nella Valle dei Templi».
Che si chiamerà “'Utriana”; come Marciana, o Marucelliana, Dell'Utri è fatto così, anche il suo indirizzo mail è intestato a Erasmo da Rotterdam.
«Ho fatto una donazione modale di migliaia di volumi, vuol dire che è condizionata alla istituzione di un laboratorio per il restauro del libro e di un master in biblioteconomia».
Stiamo per salutarci. Mi richiama. «Lei dice che io le sembro cinico. Che la prendo troppo a ridere. Ammetto una punta di cinismo, ma se non facessi così a quest'ora sarei già morto. Io non mi lamento. Non faccio la vittima. Da bambino sono stato in collegio a Bronte, fui allenato al carcere fin dall'infanzia. E poi, da buon siciliano, non voglio dare soddisfazione… e siccome sono fatto così la gente dice, lo vedi, allora è mafioso. Ma quando mi arrabbio, penso sempre a ciò che mi disse una volta Giulio Andreotti: lei ha solo il concorso esterno con la mafia, non è grave, pensi a me che ho l'associazione mafiosa…».
marcello dell'utri durante l'estradizione DELL'UTRI