Tommaso Ciriaco per “la Repubblica”
DANILO TONINELLI LUIGI DI MAIO GIUSEPPE CONTE MATTEO SALVINI
Adesso che l' illusionismo è evaporato e i bandi di gara sono ormai una realtà, i cinquestelle si ritrovano con il cerino in mano. O meglio, con una clessidra di sei mesi grande come la Torino-Lione. Per Giuseppe Conte, l' unica strada percorribile è trattare con la Francia e la Commissione europea. Sulla carta, per «un' integrale ridiscussione della Tav».
In pratica, per provare a ritoccare superficialmente il progetto, senza rinunciare al controverso tunnel di base che è giudicato dai francesi condizione indispensabile per proseguire nella collaborazione. Il Presidente del Consiglio, insomma, è disponibile a un accordo sulla cosiddetta "mini Tav", considerato l' unico compromesso possibile per evitare una crisi di governo. «È il mio obiettivo», ha confidato nelle ultime ore il premier ai suoi consiglieri. A Palazzo Chigi, a dire il vero, preferiscono chiamarla «mini-mini Tav». Ma la sostanza non cambia.
Ufficialmente, Luigi Di Maio resta sulle barricate. «Alla luce di quanto emerso negli ultimi giorni - ripete il sottosegretario 5S agli Esteri Manlio Di Stefano - è evidente che la Tav non si farà». Il vicepremier grillino, in realtà, ha già ufficiosamente digerito la possibilità che la Torino-Lione parta, sia pure modificata. Ma ha bisogno di una via d' uscita onorevole.
TAV - LA LETTERA DI CONTE A TELT
Ha necessità, insomma, che Conte concordi alcune correzioni con Parigi e la Commissione europea. Il consigliere diplomatico del premier lavora da giorni al bilaterale con Emmanuel Macron, che sarà ritagliato a margine del Consiglio europeo del 20 e 21 marzo a Bruxelles, assieme a un incontro con Jean-Claude Juncker. «Chiederò loro una mano - è la linea di Conte - e credo che me la daranno».
Per fare la mini Tav, ad essere precisi, non serve il via libera francese. Se il tunnel di base resta parte integrante del progetto, quel che accade nella tratta italiana non è di competenza di Parigi. Politicamente serve però un accordo. Ed è quello che il presidente del Consiglio intende portare a Di Maio, per permettergli di uscire dall' angolo. Lo scenario alternativo, d' altra parte, è assai più traumatico.
LUIGI DI MAIO MATTEO SALVINI GIUSEPPE CONTE
Senza un restyling sia pure minimo al progetto, la crisi è destinata a penetrare fin nel cuore del governo. E il nodo irrisolto, come ha ricordato Giancarlo Giorgetti due giorni fa, approderebbe alle Camere senza un accordo di maggioranza. Ai grillini, a quel punto, mancherebbero 50 senatori e 82 deputati per fermare la linea. Il premier sarebbe costretto a scegliere da che parte stare.
«In quel caso Conte mi ha assicurato che metterà la fiducia in Parlamento - ha spiegato ieri Di Maio ai suoi ministri che gli raccontavano di una base in rivolta - Sarebbe la Lega, allora, ad assumersi la responsabilità di votare con le opposizioni e far cadere il governo». Questo scenario cruento è proprio quello che l' avvocato intende evitare. Piuttosto, vuole accordarsi sulla "mini Tav" per poi presentare in Parlamento un pacchetto "prendere o lasciare".
salvini visita il cantiere tav di chiomonte 14
Mettendo sì la fiducia, ma per blindare la maggioranza. Alla Lega questo schema va benissimo, perché salvaguarda il tunnel di base. «Non siamo noi che creiamo problemi ricorda non a caso Giorgetti ma anzi contribuiamo a risolverli». Per far accettare questa nuova svolta, Di Maio è pronto nelle prossime settimane a drammatizzare nuovamente il dossier dell' Alta velocità, per poi sposare l' accordo di Conte sulla "mini Tav" come l' ultima spiaggia dell' esecutivo.
Non è però detto che l' operazione vada in porto. E che non si debbano contare defezioni nei gruppi parlamentari del Movimento. A differenza del braccio di ferro sui bandi, infatti, il leader non potrà ripetere il trucco, né far esplodere un petardo buono a stordire la base e nascondere il nuovo passo verso la realizzazione dell' opera. La clessidra scorre e non c' è modo di fermarla. «Possono urlare quanto vogliono, ma la Torino-Lione si farà - gongolava non a caso ieri Salvini, tranquillizzando i suoi riuniti durante il consiglio federale del Carroccio - E il primo a volerlo è proprio il presidente del Consiglio...».
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