GIANCARLO GIORGETTI E GIORGIA MELONI
Estratto dell’articolo di Stefano Folli per “la Repubblica”
È proprio questo il momento adatto per inaugurare il tavolo delle riforme istituzionali? Una, in particolare, come tutti sanno: la riforma che dovrebbe introdurre un elemento di presidenzialismo, rafforzando il potere esecutivo. Martedì la presidente del Consiglio vedrà le opposizioni ed è difficile dire se l’evento sia più politico o mediatico. C’è da credere che la seconda ipotesi sia più plausibile della prima, per il buon motivo che nessuno crede possibile un’intesa tra maggioranza e opposizione.
Al punto in cui stanno le cose, la prima soluzione è impensabile: a meno di non avviare un drammatico scontro politico con risvolti istituzionali. Quanto alla seconda, l’elezione diretta del premier suscita ugualmente perplessità. Richiede comunque un profondo riassetto costituzionale che forse non sarebbe sufficiente a fugare i dubbi […]
C’è, è vero, un interesse di Giorgia Meloni a mettere un po’ di carne al fuoco. Ma nessuno è pronto a fare sul serio. Del resto, quel che serve alla premier è molto meno di una riforma già impacchettata, che peraltro non esiste. L’obiettivo è provocare una scelta di campo: da un lato la destra più o meno favorevole a un presidenzialismo all’italiana; dall’altro la sinistra, del tutto contraria. Innovatori contro conservatori, secondo lo schema tutto politico (ed elettorale) che piace alla leader di Fratelli d’Italia, desiderosa di apparire decisionista.
PAOLO SCARONI - SILVIO BERLUSCONI - ALEXEY MILLER - VLADIMIR PUTIN
E dal suo punto di vista non ha torto, se si considera che una larga fetta di opinione pubblica è favorevole - e non da oggi - a una politica che sappia semplificare i problemi e soprattutto sappia decidere in tempi brevi. […] Tuttavia è proprio sul terreno della capacità di decidere presto e bene che il governo è incorso in un mezzo infortunio di cui avrebbe volentieri fatto a meno.
Non è necessario un sistema presidenziale per nominare il comandante della Guardia di Finanza. Invece i decisori sono riusciti a incartarsi […] trasmettendo l’immagine di un esecutivo che su un tema di potere, pur privo di implicazioni politiche, si divide senza trovare la quadra […] Anche in passato […] nomine di questo rilievo producevano contrasti e litigi. Tuttavia i conflitti venivano coperti […]
[…] si troverà l’intesa sul nome del successore di Zafarana […] Eppure l’inciampo non fa bene al profilo di un esecutivo che vuol trasmettere un’impressione di efficienza. […] La questione più spinosa è quella meno appariscente: la nomina di Paolo Scaroni alla presidenza dell’Enel. Il manager è stato in passato il maggiore protagonista, in un ruolo tecnico ma di fatto anche politico, degli accordi con la Russia di Putin che accrebbero a dismisura la dipendenza energetica dell’Italia dalle forniture di Mosca.
Paolo Scaroni and Vladimir Putin April jpeg
Ora il suo arrivo al vertice dell’Enel è un caso internazionale. I fondi sovrani in prevalenza anglosassoni che sono azionisti Enel e contribuiscono a ratificare o rigettare la nomina, stanno esponendo il loro disappunto. E a Washington la scelta del governo non è piaciuta. Come non piacciono le pulsioni filo-putiniane di Salvini e Berlusconi. Oggi sono “in sonno” ma all’estero c’è chi ha buona memoria. Se per Meloni il rapporto con gli Usa è un punto irrinunciabile, il caso Scaroni è sabbia nell’ingranaggio.