Marco Conti per “il Messaggero”
Per spuntare un maggiore sostegno da parte del M5S nel momento di massima polemica con il Pd, Giuseppe Conte ha alzato oltremodo il tiro su Autostrade ma ora rischia il boomerang e nuove tensioni con il M5S e soprattutto con Di Maio da sempre fermo sulla revoca. Al consiglio dei ministri notturno, il presidente del Consiglio si presenta con la linea grillina ma non va molto avanti: revoca della concessione se Benetton non accetta di sparire da Aspi. Un nuovo penultimatum che svela le difficoltà che incontra palazzo Chigi nel portare a compimento la sua minaccia che sventola da giorni, visto che già il consiglio dei ministri di ieri sera sarebbe dovuto essere quello della revoca. «Se I Benetton non lasciano Aspi, non c'è motivo perché M5S resti nel governo», detta perentorio Buffagni.
LA SFIDA
Le difficoltà tecniche amplificano e irrigidiscono le distanze politiche e ieri sera se ne è avuta prova. Salta la riunione con i capidelegazione, che avrebbe dovuto precedere il consiglio dei ministri, perchè Franceschini avrebbe voluto al suo fianco i ministri competenti, mentre Conte e i 5S preferivano decidere e poi riferire a Gualtieri e De Micheli. La riunione del cdm inizia, ma si sospende subito dopo. Il ministro Gualtieri accenna ad una proposta di Aspi che riprende la linea del Pd e di Iva. Ovvero aumento di capitale con cassa depositi e prestiti, Benetton con una quota ridotta anche ben sotto i 30% e promesse di uscire del tutto, appena le condizioni di mercato lo consentiranno attraverso un meccanismo di spin-off di Aspi.
Conte e Gualtieri si chiudono in una stanza a discutere dell'ultima proposta transattiva che archivia comunque l'ipotesi della revoca. Si discute ma non si fanno passi avanti. Iv dice no alla revoca, il Pd è altrettanto cauto e i dieci ministri 5S, anche per non finire nella gogna della Lezzi - già pronta a scatenarsi contro la De Micheli - si dichiarano favorevoli alla revoca con Di Maio in testa.
Il problema è nelle mani di Conte che dovrà riuscire a convincere tutti di una soluzione che, a suo giudizio, non smentisce i toni delle sue recenti dichiarazioni e dovrebbe tenere l'ala movimentista del M5S unita al resto della maggioranza che non ama i Benetton, ma non vuole scaricare sul Paese i costi del più che certo contenzioso. E così l'ennesimo consiglio dei ministri notturno, convocato al riparo di taccuini, telecamere, streeming e scatolette di tonno, si risolve in un lungo braccio di ferro.
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Raccontano però che già ieri mattina si erano perse le tracce del Conte, «in versione Di Battista», come lo ha definito il renziano Davide Faraone, e i toni fossero più propensi ad una ripresa delle trattative poi riprese nella notte con l'ultima proposta di Aspi. Tra norme di diritto societario e pareri legali chiesti in grande quantità, annega la revoca e con essa l'ipotesi del commissario. Il problema è che la minaccia reiterata della revoca della concessione non sortisce ulteriori effetti se non quelli di deprimere i titoli in borsa. Pd e Iv sono per riprendere la trattativa favorendo l'ingresso di Cdp. Una linea ribadita dal capodelegazione del Pd Dario Franceschini dopo che ieri l'altro il segretario Zingaretti l'aveva nascosta dicendosi in sintonia con le affermazioni di Conte sulla revoca. I DUBBI Quanto tatticismo ci sia nell'oscillante linea del Pd, è difficile dirlo.
Certo è che i due ministri che dovrebbero firmare il decreto di revoca, Gualtieri e De Micheli, sono tutte e due del Pd e non intendono firmare un decreto di revoca. Per Conte si tratta ora di trovare una via d'uscita che non scontenti il M5S che della revoca ha fatto una bandiera. Averla impugnata, anche solo per un giorno, costringe Conte a tenere alta l'asticella ripetendo un po' lo schema comunicativo usato sul Mes («no al Mes e sì ai bond»). «Revoca o via subito i Benetton», non può non piacere a Luigi Di Maio ed infatti anche nel consiglio dei ministri appoggia la linea della revoca.
Un modo per sostenere la linea del premier, ma anche per imputargli la sconfitta che accentua la spaccatura tra Conte e il responsabile della Farnesina. Nessuno intende arrivare alla crisi di governo su Autostrade, anche se il Quirinale guarda con preoccupazione lo scontro in atto. La vicenda Autostrade segnala però per il Pd - che aveva accusato il premier di aver portato il governo nel «pantano» - il costo da pagare per tenere in piedi la legislatura. Se è «meglio tirare a campare che tirare le cuoia», i dem potrebbero constatarlo con i risultati delle elezioni regionali di fine settembre.