Marco Galluzzo per il “Corriere della Sera”
giuseppe conte sergio mattarella
Se Giuseppe Conte dovesse decidere con il cuore andrebbe per la seconda volta in una settimana nell'Aula del Senato e continuerebbe a cercare quella fiducia che al momento non ha più. C'è il rischio di un'omerica bella morte? Pazienza, avverrebbe tutto alla luce del sole, e solo dopo salirebbe al Colle per dare le dimissioni. Troppo facile, troppo drammatico o forse persino troppo folle? I suoi due primi alleati, Pd e Cinque stelle, gli hanno risposto di sì, a tutti e tre gli interrogativi.
Se invece dovesse decidere mettendo da parte la voglia di provarci comunque, a dispetto anche dei numeri che attualmente non sono favorevoli, il premier Conte a questo punto accetterebbe, come sembra stia avvenendo, i consigli che gli arrivano dalla sua maggioranza. Sia il Pd che i Cinque stelle non vogliono saperne di una seconda conta in Senato che può essere catastrofica e glielo hanno spiegato e rispiegato. A questo punto il premier ha iniziato a prendere in considerazione la parola dimissioni prima della relazione sulla Giustizia del ministro Bonafede (che non ha voglia «di fare il capro espiatorio»), in modo da svuotarla dai contenuti politici.
Ma il dado non è ancora tratto: a chi ci parla il capo del governo esprime interrogativi che non hanno risposta, paure che nessuno è in grado di fugare. «E se vado al Colle da Papa e ne esco cardinale?». Gli dicono che non succederà, che dopo di lui c' è solo un Conte ter, ma l' avvocato pugliese continua a coltivare mille dubbi, cerca risposte che al momento nessuno può dargli, nemmeno il Quirinale.
Continua a ripetere, come un mantra, come non avesse elaborato il fatto, che «la crisi è incomprensibile, non è condivisa dagli italiani, che cosa spiegherei ai cittadini?». Ma non riconosce che allo stesso tempo la crisi è ormai un fatto e come osservano anche ministri a lui più vicini a questo punto l'anomalia principale non è più Matteo Renzi che rompe la maggioranza ma un capo del governo che non si è ancora recato dal capo dello Stato per dimettersi.
«E se poi tutto sfugge di mano, e se le pretese dei partiti diventano ingestibili?». E qui Conte mostra con i suoi interlocutori l' interrogativo che più lo tormenta: ha 48 ore per costruire una crisi pilotata, ma non trova il pilota né la rotta, ha il timore che la crisi si apra al buio con esiti imprevedibili. Voleva un accordo politico prima di dimettersi ma fatica a trovarlo, forse si convincerà che non era possibile. «In politica non esistono le garanzie», riassume una «vecchia volpe» democristiana come Pier Ferdinando Casini.
giuseppe conte e luigi di maio
Una serie di telefonate ieri sera con i capi delegazione dei partiti di maggioranza cristallizzava questa situazione. Lasciando ancora aperto il bivio tra la tentazione di resistere e l' accettazione faticosa di un percorso istituzionale che Sergio Mattarella gli ha chiesto il più rapido possibile. Conte ha meno di due giorni per sciogliere gli ultimi dubbi.