Giacomo Amadori e François De Tonquédec per "La Verità"
La lunga marcia verso la Verità di Massimo D'Alema prosegue. Dopo il nostro scoop dell'1 marzo quando abbiamo pubblicato l'audio della trattativa dell'ex premier con l'ex comandante dei gruppi paramilitari colombiani delle Auc, Edgar Fierro, Baffino ha dato versioni sempre diverse sulla vicenda.
In particolare è clamorosa la differenza tra quanto affermato in un'intervista alla Repubblica del 3 marzo rispetto a ciò che ha detto al Corriere della sera ieri.
LA MAIL INDIRIZZATA A MASSIMO DALEMA DEL DIRIGENTE DI LEONARDO PER LA VENDITA DI ARMI AI COLOMBIANI
La discrepanza più eclatante riguarda il ruolo dello studio americano Robert Allen Law, quello con cui Leonardo stava firmando un «contratto di supporto e assistenza per la promozione delle vendite». A inizio marzo D'Alema aveva dichiarato: «Ho parlato con il direttore commerciale di Leonardo. E ho detto a questi signori colombiani che era necessario trovare una società seria per iniziare la discussione.
il servizio de le iene su massimo dalema e la compravendita di armi con la colombia 30
Loro hanno scelto questo studio legale americano, un business law molto attivo in America Latina». Dello studio aveva parlato, sempre alla Repubblica, il 10 marzo, anche un collaboratore di D'Alema, Giancarlo Mazzotta.
Quando il giornalista chiede chi abbia fatto il nome dello studio, l'intervistato è lapidario nell'escludere che sia stato D'Alema: «Lo fanno loro (i "colombiani", ndr). E io tra l'altro conoscevo questo studio».
Nei giorni successivi La Verità scopre il collegamento tra lo studio, attraverso l'avvocato Umberto Bonavita e il ragionier Gherardo Gardo, e un socio di D'Alema, l'imprenditore Massimo Tortorella. Ma a far scricchiolare la versione dell'ex premier ci aveva già pensato l'audio pubblicato sul sito del nostro giornale in cui il politico pugliese insisteva sull'importanza per i colombiani di rivolgersi allo studio americano.
alessandro profumo massimo d alema
D'Alema sul punto ieri ha fatto un'inversione a «U»: «Penso che una parte (delle provvigioni, ndr) sarebbe andata a Robert Allen Law, che avevo segnalato per l'assistenza legale e di promozione; mentre i colombiani sollecitavano una partnership loro, com' era giusto che fosse». In pratica conferma il dialogo contenuto nel file, in cui è chiaro il tentativo di D'Alema di convincere Fierro e i suoi a scegliere i professionisti di Miami.
massimo dalema tratta con edgar fierro 5
L'intervistatore allora domanda: «Perché Robert Allen Law?». Risposta: «È una società prestigiosa, con legami in America Latina, aveva già collaborato con Fincantieri». Ieri dall'azienda triestina non ci hanno confermato questa precedente collaborazione.
L'ex segretario del Pds non specifica in quale occasione e nega di avere un contratto con la squadra di legali: «Li conosco, ho collaborato con loro come con altre società americane». Fuochino insomma.
Ci è voluto quasi un mese di lavoro ai fianchi, ma alla fine D'Alema sta rendendo la sua versione sempre più compatibile con la nostra.
Il possibile guadagno
Ma lui che cosa doveva guadagnarci? Nell'audio non usa giri di parole: «Siamo convinti che alla fine riceveremo tutti noi 80 milioni di euro». Nelle interviste ammette di «aiutare le società italiane all'estero», ma rimarca che in questo caso non avrebbe «visto neanche un euro». E allora perché parla di 80 milioni? Semplice: «Dovevo convincere un interlocutore riluttante [] a fare una scelta nell'interesse dell'Italia e non della mia persona».
massimo dalema tratta con edgar fierro
Anche se «far conseguire un risultato a Leonardo e Fincantieri [] accresce la credibilità di chi fa lavoro di consulenza». Ma non definitelo lobbista, potrebbe offendersi: «Scusi, che cosa vuol dire lobbista?» ha chiesto infastidito ieri, pur ammettendo di assistere «le imprese italiane per investimenti all'estero», magari attraverso i «rapporti con i governi».
Poi, rendendosi conto che nessuno avrebbe creduto alla favoletta dello statista al servizio gratuito del Paese, parlando del caso colombiano, ha concesso: «La mia società avrebbe avuto dei vantaggi nel campo dell'energia, delle infrastrutture, in rapporto alle aziende private con cui collaboro».
Ricapitolando: parlava di 80 milioni per vincere le resistenze del socio in affari, ma non ha rapporti di lavoro con aziende pubbliche, con cui, sembra di capire, collabora «sotto copertura». Anche perché all'ambasciatore italiano i nomi di Fincantieri e di Leonardo, di cui promuoveva «gli interessi», li avrebbe fatti eccome.
gloria isabel ramirez ambasciatore della colombia in italia foto di bacco
Alla Repubblica aveva detto di essere stato «contattato da personalità politiche colombiane, con incarichi istituzionali» che gli avrebbero riferito che il Parlamento colombiano aveva stanziato molti fondi per ammodernare le forze armate. E lui? Avrebbe «informato subito Leonardo e Fincantieri, che sono importanti clienti di Ernst&Young».
Un mese dopo la storia è cambiata radicalmente. Intanto perché Ernst&Young, di cui dirige l'advisory board, «qui non c'entra nulla». Qualche capataz londinese gli ha chiesto di non citarli più? Chissà.
La retromarcia
LA MEDIAZIONE DI MASSIMO DALEMA PER UNA VENDITA DI ARMI ALLA COLOMBIA
La retromarcia prosegue: a coinvolgerlo non sarebbero state personalità politiche d'Oltreoceano, ma un meno esotico ex sindaco pugliese, il solito Mazzotta («un imprenditore salentino che conoscevo da anni») che gli dice di conoscere «due consiglieri del ministero degli Esteri di Bogotà che potevano dare una mano a promuovere attività italiane in Colombia».
Nelle varie interviste D'Alema insiste sul ruolo della Cancelleria di Bogotà. Peccato che i documenti con il simbolo del ministero degli Esteri del Paese sudamericano siano stati approntati da Emanuele Caruso, uno dei due «consiglieri», oggi sospettato di taroccare documenti con timbri e loghi falsi. Un filone su cui stanno indagando la Procura di Napoli e la Digos.
E D'Alema chi informa dell'opportunità prospettata da Mazzotta dentro Fincantieri e Leonardo? A inizio marzo l'ex europarlamentare cita solo il direttore commerciale di Leonardo (c'è traccia di questo rapporto nelle mail pubblicate dalla Verità), mentre ieri ha coinvolto direttamente «i vertici di Leonardo e Fincantieri». Anche questo è un link di cui avevamo già informato i nostri lettori. I canali diplomatici E gli interventi presso le ambasciate? Pure quelli passaggi istituzionali.
Con La Repubblica cita solo l'ambasciatrice colombiana in Italia, forse perché citata nell'audio. Nell'intervista di ieri, invece, chiama in causa anche Gherardo Amaduzzi che come abbiamo svelato venerdì era stato contattato da D'Alema il 19 gennaio. In quella telefonata l'ex primo ministro aveva annunciato una visita di Mazzotta.
Oggi l'ex capo del governo dà una diversa lettura di quella chiamata: «Mazzotta non è stato "mandato" lì da me, ma invitato dal ministero (della Difesa colombiano, ndr) di cui sopra. Io l'ho solo sollecitato a informare l'ambasciatore italiano per un'ovvia ragione di trasparenza».
In realtà nessun rappresentante ufficiale del ministero si è mai materializzato durante le trattative, né ha cercato i D'Alema boys. E se il governo italiano era all'oscuro di questa trattativa parallela, l'ex segretario del Pds sembra imputarlo al diplomatico: «Normalmente gli ambasciatori informano i governi» taglia corto.
L'ex guerrigliero
Nei giorni scorsi l'ex ministro degli Esteri aveva anche rivendicato di aver riattivato «canali istituzionali che si erano interrotti» e di non essersi servito per la sua trattativa parallela di «faccendieri o cose opache». Peccato che abbia conversato amabilmente con due broker dal curriculum poco chiaro accusati oggi di falso e con l'ex paramilitare di estrema destra Fierro, condannato a 40 anni di galera.
Noi avevamo scritto il 9 marzo che l'ex premier, con il suo inner circle, aveva «ammesso di aver commesso un grave errore ad affidarsi a personaggi su cui non aveva fatto fare nessun tipo di controllo». Venti giorni dopo anche i lettori degli altri giornali hanno ricevuto la notizia e cioè che l'ex premier considera il non aver controllato il curriculum del suo interlocutore «una leggerezza».
il servizio de le iene su massimo dalema e la compravendita di armi con la colombia 5
Tanto da concludere: «Non c'è dubbio che in questa vicenda ho peccato di mancanza di cautela. Le imprese italiane, invece, hanno agito in modo assolutamente corretto e prudente». Il broker Francesco Amato di fronte a questa dichiarazione scuote la testa: «Avevo spiegato a D'Alema e Mazzotta chi fosse Fierro e l'ex premier, sorridendo, mi aveva risposto: "Sinistra e destra che si uniscono"».
Gli altri business
D'Alema ha ammesso di essersi occupato in Colombia, come svelato dalla Verità, oltre che di armi, anche di altri temi come «l'energia e le infrastrutture», tra cui un progetto per il fotovoltaico, da gestire attraverso un fondo, Alleans renewables capital limited con sede a Londra. Alleans è presieduto da un italiano, Roberto Scognamiglio, quarantanovenne laureato in ingegneria aeronautica.
MASSIMO DALEMA SILK ROAD FORUM
Il fondo nel gennaio scorso, ha proposto a un'azienda con sede a Medellin, la Ayc solutions, una partnership da 13,2 milioni, per un progetto fotovoltaico da 110 Mwp denominato «Las Marias». Dalle carte che abbiamo visionato risulta che la holding di cui fa parte il fondo è legato da una joint venture industriale con la China national machineries imp. & exp. Co., che fa parte del gruppo Genertec, una società statale cinese.
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D'Alema, nelle interviste, ha pure parlato più volte della sua società di consulenza. Visti i bilanci e soprattutto gli utili, Baffino ha buoni motivi per essere soddisfatto. Fondata a gennaio del 2019, la D&M advisor Srl, controllata al 100% dall'ex segretario del Pds ha la sede legale a Roma nello studio di Domizia Sorrentino, moglie dell'ex ministro Pd della Cultura Massimo Bray, e ha già messo a bilancio discrete entrate. Nel primo anno di attività, la società ha fatturato 172.425 euro, con un piccolo utile di 27.594. Ma nel 2020, anno a cui si riferisce l'ultimo bilancio disponibile, le entrate della D&M, nonostante la scelta, rivendicata pubblicamente, di non lavorare per aziende pubbliche, sono letteralmente esplose, passando a 426.816 euro, con un utile di 202.333. D'Alema, come detto, attendeva ulteriori «vantaggi» dalla trattativa colombiana. Che, purtroppo per lui, è saltata.
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