1 - SALVINI SILURATO? «MATTEO NON NE AZZECCA PIÙ UNA». CAOS NELLA LEGA DOPO DISASTRO ALLE ELEZIONI COMUNALI
Mario Ajello per www.ilmessaggero.it
matteo salvini giancarlo giorgetti by macondo
Silurare Salvini? La sola ipotesi era ritenuta, fino a prima del voto disastroso della Lega in queste Comunali, non solo blasfema ma impronunciabile, assurda, fuori luogo e fuori tempo. Si è finora detto infatti: il Carroccio è un partito leninista e il capo non si discute mai.
Ecco, adesso Salvini - indebolito e stremato dai suoi errori che sono quelli del viaggio a Mosca, del referendum gestito malissimo e del rapporto indeciso, incerto, altalenante e più di lotta che di governo rispetto all’esecutivo Draghi: e da tutto ciò deriva il tonfo elettorale - si può discutere ma non si può ancora silurare.
La Lega del leninismo
È la Lega del leninismo, tipo quella in cui non esiste dirigente che non dica, ma riservatamente: “Matteo non ne azzecca più una”. Ed è una sconfessione pubblica del leader l’assenza di Giorgetti ieri al vertice in via Bellerio. Così come gli atteggiamenti di Zaia e di Fedriga che vogliono bene a Matteo ma sembrano distanti, nelle loro mezze parole e soprattutto nei loro silenzi, dal segretario.
FLOP DI SALVINI ALLE AMMINISTRATIVE 2022 BY ELLEKAPPA
Che di fatto ormai si muove in una foresta di dubbi, quelli degli altri nei suoi confronti, di recriminazioni (chi come i giorgetti si sostengono che bisogna essere più governativi e chi come il vicesegretario Fontana lascerebbe subito Draghi al suo destino e Salvini indeciso e sbandante dice a tutti: “Accetto consigli”), di freddezza e di solitudine. “
Ma se lui si rivolge a tipi improbabili, sconosciuti e pericolosi come Capuano, quello del viaggio in Russia, abbandonando il rapporto con il partito, la colpa di chi è se non sua?”: questo si sente dire in queste ore tra parlamentari lumbard e tra quelli della Lega veneta che sono particolarmente preoccupati della china che sta prendendo il partito salviniano, ovvero della sua tendenza alla sconfitta continua.
MARIO BORGHEZIO MATTEO SALVINI
La via crucis di Salvini
Salvini inizia a capire l’antifona. E ripete a tutti: “Non sono certo attaccati alla poltrona, se volete un altro leader basta dirlo”. Ma nessuno gli dice di andarsene, anche perché al momento non c’è nessuno che lo voglia sostituire. E allora nessun siluramento di Matteo? Semmai, un siluramento per gradi.
Uno che se ne intende, Mario Borghezio, leghista doc da sempre, assicura: “Ormai la Lega è saltata e a farla saltare, rompendo il rapporto tra il partito e la base, tra il cerchio magico del segretario e gli organi territoriali, è stato Salvini. Il leader sostitutivo si trova, dipende solo da qua di lo si vuole trovare”. Fedriga? Sarebbe secondo tutti il più attrezzato. La via crucis di Matteo comunque è già cominciata.
Verrà tenuto in piedi fino alle elezioni del 2023, a meno che qualche vicenda legata alla Russia o altri incidenti di percorso non arrivino come tegole sul segretario, ma i maggiorenti del partito, ministri e governatori, non gli faranno fare le liste elettorali solo a lui. Anzi lo condizioneranno pesantemente nella scelta degli eletti, che saranno pochi con questi chiari di luna e ognuno vuole assicurarsi i propri fedelissimi in una battaglia sui nomi che sarà durissima, perché ognuno vuole attrezzarsi in vista del dopo Salvini. Che in seguito a questo periodo da anatra zoppa potrà essere silurato all’indomani del voto 2023 se dovesse andare male.
giancarlo giorgetti giorgia meloni matteo salvini
E al momento, nessuno si aspetta miracoli di resurrezione nelle urne dell’anno prossimo. Tranne, forse, lo stesso Salvini. Il quale pare che sia intimamente convinto che così come ha portato la Lega dal 4 al 34 per cento può ancora ripetere quel miracolo. Ma il tempo è pochissimo. E i suoi compagni di partito non vogliono più fargli sconti.
2 - ALTRO CHE TRAME. SALVINI DEVE PREOCCUPARSI DEL POPOLO DEI GAZEBO
Francesco Bechis per www.formiche.net
Più dei lunghi coltelli, i larghi tendoni. La vera grana con cui il segretario della Lega Matteo Salvini dovrà fare presto i conti non si trova tra i corridoi di via Bellerio ma nelle centinaia di piazze italiane affollate da più di un anno da gazebo e banchetti di militanti leghisti.
Passino le trame interne e i malumori dei colonnelli. Ci sono, erano già più che palpabili al Consiglio federale convocato all’indomani delle amministrative e continueranno ad esserci nei prossimi mesi. Difficile che bastino nel breve periodo a preparare il dopo-Salvini in un partito che – con buona pace di tanti retroscena veri, presunti o sperati –nonostante tutto vive di obbedienza al commander-in-chief che lo ha raccolto al 4% otto anni fa.
COMIZIO DI MATTEO SALVINI A GORIZIA CON MASSIMILIANO FEDRIGA
A togliere il sonno al leader è semmai un altro popolo, più silenzioso, più decisivo e più arrabbiato dei dirigenti per la doccia fredda dei sei referendum sulla Giustizia e la debacle astensionista, con il dato record in negativo di una partecipazione al 20,9%. È il popolo delle migliaia di militanti che per più di un anno, ogni week end, con la pioggia e con il sole, si è riversato in piazza a sventolare depliant, raccogliere firme e sostenere in ogni modo la causa referendaria.
Tutto è iniziato il primo luglio, quando assieme ai radicali la marea di attivisti del Carroccio ha montato i banchetti sulla scia di una solenne promessa del “Capitano”: “Altro che 500mila firme, ne raccoglieremo 5 milioni”. Le firme sono state meno, anche se è impossibile fare stime esatte. Sì perché, dopo sei mesi di militanza sotto i gazebo, la partita referendaria di Salvini è inceppata in un primo, grande imbarazzo. Il comitato promotore ha giurato di averne raccolte quattro milioni – 4 milioni e 275mila per l’esattezza – ma la Lega non ha mai depositato le sottoscrizioni popolari: sfruttando una scorciatoia prevista dalla Costituzione (art. 75), Salvini ha preferito far approvare i referendum da nove consigli regionali del centrodestra.
Vicenda chiusa con un rigo al fondo di un comunicato uscito da via Bellerio: “Dopo il via libera della Cassazione, non è più necessario il deposito delle firme previsto per domani”. La mossa ha reso di fatto inutile la lunga ed estenuante campagna di raccolta firme finite al macero. Suscitando la rabbia non solo del Partito radicale – pronto a depositare le sue firme raccolte al Palazzaccio – ma soprattutto quella del “popolo dei banchetti” che si è chiesto il senso di quella corrida dall’estate all’inverno.
matteo salvini dopo il doppio flop referendum amministrative 2
Una delusione che si è riversata sulla seconda fase della campagna quando, da gennaio a giugno, gli stessi iscritti sono stati chiamati a riprendere la battaglia dei referendum per invitare la gente a votare cinque sì. Non è un caso, confida un parlamentare leghista, se nell’ultimo mese “si è vista nelle piazze meno della metà delle persone presenti l’anno scorso”. Complice lo sconforto per una causa forse “nobile”, come rivendica uno sconsolato Roberto Calderoli, ma certo poco comprensibile all’elettorato del Nord che di questioni “tecniche” come la riforma della Giustizia preferirebbe si occupi il Parlamento.
L’effetto tsunami sul morale dei militanti leghisti – la vera ossatura del partito, quella che lo ha tenuto in piedi anche nei momenti di alta marea – rischia ora di allargarsi alla campagna dei tesseramenti per il 2022. Lanciata a fine febbraio, sta andando a rilento. Colpa di un ritardo nella roadmap dei congressi locali: ad aprile sono partiti quelli comunali e sovracomunali, in autunno sarà il turno dei congressi provinciali e dunque regionali. Del Congresso nazionale – dove inevitabilmente si andrà alla conta sul segretario – Salvini non vuol sentire parlare prima delle elezioni politiche del 2023.
Per arrivare forte alle urne nazionali e al Congresso il leader dovrà allora recuperare la fiducia della militanza leghista amareggiata dal capitombolo referendario. Anzitutto mettendo un punto fermo sui rapporti nel centrodestra. Lì, sotto i gazebo, a nessuno è sfuggito l’assenteismo di Fratelli d’Italia e di Forza Italia. Un silenzio “piuttosto assordante”, ha sibilato il vicesegretario Andrea Crippa, uno che di territorio e militanza si intende da tempo.
Poi recuperando le battaglie storiche del partito che possono scaldare gli animi di un popolo deluso. Autonomia, immigrazione. Crisi economica nel Nord-Est, dove una marea di imprenditori ribolle per le sanzioni russe che, ripetono di continuo ai dirigenti del Carroccio, rischiano di mandare a casa centinaia di lavoratori. Più delle manovre di corridoio, gridate sulla stampa e assai meno nei confronti interni, Salvini ha ben altro di cui preoccuparsi.
matteo salvini referendum sulla giustizia 1 matteo salvini dopo il doppio flop referendum amministrative 1