Maurizio Belpietro per la Verità
Matteo Renzi ha un piano per perdere le elezioni e continuare a governare. Certo, raccontata così la strategia del segretario del Pd sembra quella di una persona poco sana di mente. In realtà l' ex premier non è pazzo né emotivamente instabile, ma ha semplicemente una visione spregiudicata della politica, dove non contano destra e sinistra e nemmeno i programmi: conta solo la gestione del potere. Ed è per continuare a esercitare il comando anche dopo il 4 marzo, quando gli italiani si pronunceranno sui cinque anni di renzismo, che l' ex sindaco di Firenze si sta attrezzando.
DALEMA RENZI BERLUSCONI E DI MAIO COME I CUGINI DI CAMPAGNA
Come più volte abbiamo raccontato, uscito dalla porta di Palazzo Chigi a seguito della sconfitta referendaria, il già presidente del Consiglio vi è rientrato dalla finestra, posizionando attorno a Paolo Gentiloni una serie di pedine ai suoi ordini. Tuttavia, al contrario di quanto si potrebbe pensare, il controllo quotidiano delle decisioni non è stato garantito solo da Maria Elena Boschi, che pur cambiando poltrona ha continuato a gestire le faccende più delicate, e nemmeno da Luca Lotti, il quale traslocando al ministero dello Sport ha conservato importanti deleghe.
Renzi, nell' anno trascorso lontano dal governo, ha potuto contare su una rete ai vertici delle istituzioni e nelle grandi aziende pubbliche, una rete che alle sue strette dipendenze gli ha consentito da segretario del Pd di influire sulla maggior parte delle decisioni. Nonostante sia passato oltre un anno dalle sue dimissioni, scelte e nomine hanno avuto ancora lui come referente, prova ne siano anche i recenti incarichi dei magistrati contabili.
Tutto ciò però è stato possibile grazie all' autosufficienza di cui, per effetto del Porcellum, il Pd ha potuto godere alla Camera e ai voti di sostegno che una parte dell' opposizione non ha mai fatto mancare al Senato nei momenti cruciali. Una situazione che con il Rosatellum, la nuova legge elettorale che si sperimenterà per la prima volta il 4 marzo, sarà impossibile ripetere. Dunque urge provvedere per non perdere il controllo sul nuovo Parlamento e di conseguenza quello sul governo.
Messe da parte frasi roboanti da campagna elettorale, tipo «Saremo noi il primo partito del Paese», oggi il segretario del Pd si accontenta di assicurare che il suo partito avrà «il gruppo parlamentare più numeroso». In altre parole, Renzi spera di riuscire a portare alla Camera e al Senato 200 persone, in modo da diventare determinante nella costruzione di una nuova maggioranza. Con un manipolo di un quinto degli onorevoli, il segretario del Pd addirittura sogna di poter ricevere dalle mani del capo dello Stato l' incarico di formare il nuovo governo.
Esecutivo che - ovviamente - dovrebbe essere sostenuto sia dal Pd che da Forza Italia, ma visto che da soli democratici e azzurri non basterebbero, il patto si allargherebbe ai centristi, alla Bonino, cioè alla coalizione di sinistra, e, infine a Liberi e uguali. Un disegno che non poggia tanto sulle percentuali, che al momento vedono il Pd in caduta libera, ma sulle complesse ricadute del sistema elettorale che lo stesso Renzi ha voluto, convinto di trarne vantaggio a scapito dei grillini.
Il segretario del Pd sa benissimo che il partito è indietro nei sondaggi e che la percentuale oggi attribuita a ciò che resta del simbolo della sinistra si avvicina più al 20 che al 25 per cento, linea di demarcazione che già ai tempi di Pier Luigi Bersani era considerata il minimo storico da non sfondare mai. Tuttavia al Rottamatore poco importa di rottamare anche quest' ultima soglia psicologica: ciò che conta è riuscire a continuare a gestire il potere.
Il risultato, in questo caso, sarebbe garantito se il Pd riuscisse a sconfiggere i candidati del Movimento 5 stelle almeno nei collegi maggioritari del Sud, là dove la sfida è tra le persone più che tra i partiti. Ecco spiegato perché Renzi ha passato le ultime nottate a studiare le liste, cercando di piazzare nel Mezzogiorno alcuni candidati ritenuti di successo. La disposizione dei nomi da schierare risponde certo a un criterio di fedeltà, in modo da poter disporre dopo le elezioni di un gruppo parlamentare docile e pronto ad allinearsi senza discutere.
Ma non solo: servono anche figure che si possano battere contro i pentastellati ribaltando i pronostici che vedono sconfitto il Pd nella maggioranza dei collegi. Insomma, il segretario sa che non avrà percentuali bulgare tipo quelle ottenute alle Europee, ma non si rassegna e si prepara a una campagna elettorale senza esclusione di colpi, soprattutto nel Meridione.
Comunque vada, cioè che riesca o meno a disporre del gruppo più numeroso alla Camera e al Senato e dunque a ricevere oppure no l' incarico di guidare il governo, gli scenari del segretario Pd si concludono sempre allo stesso modo, cioè il governo del presidente, dove a ispirarne le mosse non sarà Sergio Mattarella, ma lui.