LA LOCOMOTIVA INCHIODA E IL TRENO DERAGLIA! - IL RALLENTAMENTO TEDESCO È PIÙ GROSSO DEL PREVISTO: L’INDICE IFO (LA FIDUCIA DELLE IMPRESE) SAREBBE COERENTE CON UN TRACOLLO DEL 6% DEL PIL - MA PIÙ CHE DEI DATI GREZZI, DOBBIAMO AVERE PAURA DELL’ATTEGGIAMENTO DELLA GERMANIA (E DELL’EUROPA) CHE CONTINUA A SBATTERE LA TESTA CONTRO IL MURO: NIENTE INVESTIMENTI E AUSTERITY FOREVER

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Paolo Annoni per www.ilsussidiario.net

 

angela merkel angela merkel

Il piano da 100 miliardi per l’economia verde della Germania, entro il 2023, non risolverà i problemi del rallentamento tedesco. Forse è per questo che il ministro dell’Economia di Berlino ieri ha annunciato un piano di tagli fiscali. Mentre si considerano mitici piani al “2030” e tagli fiscali, i dati sull’economia tedesca continuano a fare paura. L’indice Ifo, uscito ieri, sarebbe coerente con una recessione da -6% del Pil; questo per dire in cosa si sostanzi il “rallentamento tedesco”. Ma a ben vedere non è questo che preoccupa, anche se siamo consapevoli che l’economia tedesca è strettamente legata a quella italiana.

draghi merkel draghi merkel

 

Quello che preoccupa è l’atteggiamento con cui Germania e alleati immediati procedono verso l’inevitabile crisi. La Bce continua a fare “more of the same”, “di più dello stesso”, ma sinceramente tutta la strategia comincia a mostrare un respiro cortissimo. Per il resto è il nulla o nella migliore delle ipotesi molto meno di quello che servirebbe.

 

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Non si trova quasi nessuno che abbia il coraggio di dire che è un intero modello a mostrare tutta la propria fragilità. Infatti, ancora oggi, come dieci anni fa dopo la crisi di Lehman, si pensa di curare il modello squilibrato europeo con una svalutazione dell’euro che gli americani dovrebbero accettare con le imprese tedesche libere di vendere i loro prodotti sui mercati globali.

 

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Gli squilibri dell’euro si curano con il solito trasferimento di potere e soldi da debitore a creditori nello schema che ci ha spiegato benissimo George Soros. Non è affatto chiaro se siano i creditori ad aiutare i debitori o viceversa vista l’attuale impalcatura dell’euro. Il corollario di tutto questo è che l’Europa è un soggetto politico debolissimo nell’agone globale. Costretto ad accettare le richieste altrui pena crisi economica. L’abbiamo visto con il “dieselgate”.

 

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Mentre si corre verso la recessione nessuno mette in discussione un modello che non funziona. L’Europa è praticamente assente dalla mappa dei primi 50 progetti infrastrutturali globali; è il grande assente. La Germania colleziona figure oscene persino sulla costruzione di un “semplice” aeroporto.

 

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Non sappiamo come finirà Trump e il suo tentativo di riequilibrare gli squilibri commerciali americani. La recessione che già si intravede in Europa, in America arriverà con un ritardo di uno o due trimestri proprio a ridosso delle presidenziali americane. Quello che sappiamo è che il “problema” dell’economia americana che vive a debito e importa più di quello che esporta è stato correttamente individuato. O gli americani fanno austerity e si suicidano oppure devono riequilibrare i rapporti con la Cina a partire dalla proprietà intellettuale. Un “deal” migliore con la Cina e poi con l’Europa è un toccasana per l’economia americana.

 

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Il problema è l’Europa. Nessuno si capacita dell’inerzia con cui si stia affrontando questa fase. L’opposizione a Draghi o l’austerity perpetua vengono lette ormai anche su organi “mainstream” come un mero mezzo di una guerra intraeuropea. D’altronde rinunciare a un modello che ha funzionato benissimo per una parte dell’Europa deve essere troppo difficile; poi ci sarebbe il problema di legarsi all’Europa mediterranea pagando finalmente il conto della valuta comune. Sospettiamo anche tantissima ideologia per un modello per cui si è deciso di immolare, nel 2010-2012, quasi la metà dei cittadini europei. Senza peraltro risolvere niente perché alla crisi del 2019 l’Europa pensa di rispondere come nel 2009: una svalutazione dell’euro del 30% sul dollaro e il conto pagato dai debitori con l’austerity con una divaricazione della disoccupazione tra Paesi core e periferici drammatica. Però oggi il contesto è molto meno favorevole a questa soluzione.

 

Ci sembra di capire che la giustificazione ultima delle vicende politiche italiane sia la superiorità delle élites europee e l’inadeguatezza del “popolo italiano”. Potrebbe anche avere senso se le élites europee dimostrassero un minimo di lungimiranza e un sincero interesse per la casa comune europea. Osserviamo invece un’ottusità e una perseveranza incredibili alla luce del quadro economico internazionale.

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