Francesca Sforza per “La Stampa”
«Essere sulla copertina di Vogue è un grande onore e il sogno di molte persone di successo, ma non auguro a nessuno di arrivarci a causa di una guerra nel loro Paese». Deve avere avuto un lieve ripensamento, la moglie del presidente ucraino Olena Zelenska quando ha postato queste parole nel suo canale Telegram, a corredo del servizio fotografico uscito sull'edizione americana di Vogue, patinato a tal punto da suscitare una domanda che sarà pure un po' moralista ma davvero viene spontanea: era proprio il caso?
Malgrado le istruzioni per l'uso presenti nel post, infatti - in cui si chiede al lettore di fare lo sforzo di vedere, al suo posto, "ogni donna ucraina" - l'impressione è che sia piuttosto arduo, per «chi combatte, si offre volontario, allestisce un campo profughi, lavora sotto il suono incessante delle sirene, resiste sotto l'occupazione» riconoscersi in quegli sguardi languidi, in quei tessuti che hanno tutta l'aria di essere dei cachemire, delle sete, delle lane rasatissime, o in quelle pose tra lo smarrito e l'ispirato che solo una mano d'artista come quella di Annie Leibovitz (sì, è lei l'autrice del servizio fotografico) poteva ritrarre.
Olena Zelenska e Volodymyr Zelensky su Vogue
La maestria comunicativa della coppia Zelensky si riconosce tuttavia nei toni usati durante il colloquio - dolenti il giusto, con uno sguardo sempre tenuto fermo sulla consapevolezza del privilegio, pur nella sventura - e in una serie di piccole utili informazioni fatte circolare subito dopo l'uscita della rivista, in cui si precisava che i marchi indossati dalla First Lady erano rigorosamente ucraini - Poustovit, The Coat, Bettter, Hvoya, Six - e che quindi in definitiva si trattava di un'operazione che tra le altre cose rilanciava il Made in Ukraine.
Diversi utenti Telegram, tuttavia, hanno trovato un po' irriverente che la giornalista Rachel Donadio accostasse la tonalità ruggine della maglietta indossata da Olena con quella dei carri armati russi bruciati lungo le strade di Irpin e Bucha. E l'intervento psico-politologico della First Lady non è che abbia proprio rivoluzionato la narrativa corrente: «Le prime settimane dopo lo scoppio della guerra siamo rimasti scioccati - ha detto nel corso dell'intervista -. Dopo Bucha abbiamo capito che era una guerra destinata a sterminare tutti noi, una guerra di sterminio».
La realtà è che l'attenzione delle opinioni pubbliche occidentali sul fronte ucraino - complice l'estate post-pandemica - sta progressivamente diminuendo, e la dirigenza di Kiev è giustamente preoccupata del ripetersi di uno scenario post-Maidan, dove al breve entusiasmo per la rivoluzione arancione seguì un sostanziale disinteresse per ciò che avvenne subito dopo (anche lì scontri, e morti, e vittime civili).
Stavolta sarà più difficile accantonare il dossier, viste le proporzioni del dramma e le ricadute economiche globali, ma il rischio di un infragilirsi del sostegno esiste, e dunque l'operazione Vogue ha comunque il vantaggio di rimettere a fuoco la centralità di Kiev. Olena poi ha retto piuttosto bene all'operazione: «Non avrei mai pensato di dover interpretare il ruolo di First Lady, mi piace restare sullo sfondo, trovarmi sulla ribalta è stato piuttosto difficile per me».
Suo marito, nel frattempo, in concomitanza con i post che segnalavano l'uscita dell'intervista su Vogue, trasmetteva sul suo canale foto di gente attonita davanti a case distrutte, di scantinati devastati dalle bombe, di palazzi mezzi crollati o inceneriti: «Proteggere l'unità ora, lavorare insieme per la vittoria è il compito nazionale più importante che tutti dobbiamo assolvere», si leggeva nella didascalia. Ognuno a suo modo, compresa Vogue America.
Olena Zelenska e Volodymyr Zelensky su Vogue
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