Paola di Caro per il “Corriere della Sera”
Ci hanno provato in tanti a convincerlo a cambiare idea. A non sottostare ai «diktat» di Salvini e Meloni. A tenere alta la bandiera del Ppe. A non mettere a rischio l' approvazione di una riforma che, come da giorni ripete Renato Brunetta (ora in silenzio stampa: «Sono serenissimo, ho la coscienza a posto», si limita a dire), non è peggiorativa rispetto alla precedente e soprattutto, se non approvata dall' Italia, avrebbe effetti gravissimi per gli equilibri europei e per il nostro Paese. Ma Silvio Berlusconi, raccontano, ormai ha deciso.
Non sono bastati i tentativi di Gianni Letta, secondo alcuni perfino della famiglia, di chi si preoccupa per un isolamento del leader che rischia di diventare politico in chiave interna (con possibili spaccature nel gruppo azzurro) e di immagine sul piano internazionale. A meno di clamorosi colpi di scena, il Cavaliere non cambierà linea. Seguirà quella scandita da Antonio Tajani: «Sì al Mes sanitario, perché non prendere quei 37 miliardi sarebbe folle. Ma no a una riforma insoddisfacente». Si voterà una mozione unitaria, di tutto il centrodestra. Ancora da mettere nero su bianco.
maria stella gelmini annamaria bernini silvio berlusconi antonio tajani 1
Il problema è politico e va oltre le tecnicalità. È vero che della riforma del Mes si discute solo in Italia, che il vero nodo da affrontare in sede europea è quello del Bilancio (con il veto di Polonia e Ungheria) e di quello si occupano le Cancellerie europee. Ma è altrettanto vero che Berlusconi, dopo la linea «responsabile» che lo ha portato a votare sì allo scostamento di Bilancio, trascinando anche Lega e FdI, ritiene di non aver avuto quel riconoscimento che si aspettava.
Non un appello all' unità nazionale dal capo dello Stato. Non un' apertura a formule future da parte di Conte e Di Maio: «Vogliono i suoi voti, ma in cambio non gli offrono niente politicamente o personalmente. Coi pontieri parlano al telefono, ma nemmeno li ricevono. Che si aspettano?», dice un big azzurro. La via era strettissima. Da una parte Salvini e Meloni che hanno davvero posto un aut aut: basta posizioni autonome di FI, o si adegua o è fuori.
Dall' altra una maggioranza che, al di là dei buoni rapporti intessuti con il Pd, su FI non conta per futuri assetti. E una legge elettorale ancora da scrivere, che non è detto viri verso il proporzionale. E Berlusconi ha scelto di stare con gli alleati di sempre. Piaccia o meno ai suoi oltre 150 parlamentari che sanno che, in caso di voto, per tre quarti resteranno a casa. Ovviamente non è solo una questione di posti, ma anche di convinzioni.
SILVIO BERLUSCONI ANTONIO TAJANI
Tanti non vogliono «morire sovranisti» e il loro malessere pesa. Dei centristi dell' Udc, di Cambiamo. Di alcuni che potrebbero votare sì pur essendo fedeli da sempre a Berlusconi.
Come Brunetta, uno che conta, tanto da trascinare con la sua posizione altri delusi da una scelta «incomprensibile». Per cercare di tenere assieme il gruppo si è battuta la Gelmini, ma per convincere l' ex ministro serve un intervento diretto del Cavaliere.
NICCOLO' GHEDINI SILVIO BERLUSCONI
Arriverà? Diversa la situazione al Senato. Il gruppo azzurro nel complesso regge, ma qualche assenza strategica è prevedibile. Inutile, prevedono nel centrodestra: «Non sarà questo il giorno del giudizio per il governo», dice Maurizio Gasparri, mentre ad Arcore fanno i conti: 150 sì contro 110 no, è la previsione.