Stefano Montefiori per corriere.it - Estratti
Anni di normalizzazione e di marcia disciplinata verso il cuore delle istituzioni rischiano di andare in fumo: dopo due settimane di udienze la procuratrice Louise Neython ha chiesto la condanna e l’ineggibilità di Marine Le Pen, che si dice «scioccata» e denuncia: «Vogliono impedire ai francesi di votare per chi vogliono».
Il Rassemblement national si sente di nuovo sospinto ai margini e lancia accuse contro quel che torna a essere definito «il partito unico», che «cerca di ottenere con i magistrati quel che gli sfugge con le urne». In questo clima il governo del premier Michel Barnier, che si regge sulla benevola astensione del RN, rischia di saltare.
Secondo l’accusa, Marine Le Pen usava i fondi europei per finanziare di fatto il Rassemblement national: gli assistenti pagati dal parlamento di Strasburgo lavoravano in realtà per il partito, a Parigi. I procuratori hanno chiesto pene severe contro i 25 imputati, e soprattutto contro di lei: cinque anni di carcere dei quali almeno due con il braccialetto elettronico, una multa di 100 mila euro e — questa è la misura più dolorosa — cinque anni di ineleggibilità. La leader del RN rischia di mancare le prossime elezioni legislative (magari in estate) e le presidenziali del 2027 (o prima se Emmanuel Macron fosse costretto a dimettersi).
«Abbiamo un ginocchio a terra», riconosce il delfino Jordan Bardella, che peraltro vive invece un momento di grande affermazione personale con il successo (23 mila copie vendute in due giorni) del suo libro Ce que je cherche (Quel che cerco), e in segreto sogna forse di essere il protagonista di un «piano B», B come Bardella, per l’Eliseo. Dopo il terremoto politico del 21 aprile 2002 con Jean-Marie Le Pen qualificato al secondo turno, alle presidenziali sua figlia Marine ha continuato a progredire inesorabilmente: 18% nel 2012, 34% nel 2017, 42% nel 2022. Alla guida dell’ormai primo partito di Francia con 125 deputati, Marine Le Pen sperava che il quarto tentativo fosse finalmente quello buono, ma i magistrati hanno voluto chiedere l’esecuzione immediata della pena, senza aspettare l’esito dei ricorsi.
È una richiesta, non una sentenza: lunedì al Palazzo di Giustizia toccherà alla difesa, e la decisione dei giudici arriverà nel 2025, forse a marzo. Ma intanto cresce la tentazione di rispondere a quella che viene denunciata come una «violenza» del sistema redivivo, schiacciando il bottone della mozione di censura che farebbe cadere il governo.
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