Tommaso Labate per www.corriere.it
«Uno penserà “hai visto Massimo? Si sarà pentito...”. Oppure “a Ghini stavolta je uscita male”. Cose così. E invece devo dire che sono molto orgoglioso di quello che sono riuscito a innescare con la mia provocazione».
Sta parlando del tormentone della candidatura a sindaco di Roma.
«Era una battuta ma neanche troppo. Ho fatto il consigliere comunale, il sindacalista. E poi ho passione politica da sempre. Mi crede se le dico che mi hanno preso sul serio, che qualcuno ci ha creduto?».
Certo.
«Quando vogliono blandirti, ti chiamano, ti corteggiano, ti propongono cose. Invece dopo quella “candidatura” io ho avvertito da un lato uno strano silenzio; dall’altro, molte persone serie si sono fatte vive per dirsi disponibili alla realizzazione di un progetto. Alla politica, a Roma, serve in fondo un grande progetto. Grandi idee, grandi sogni, grandi speranze».
La Raggi?
«Democristiana».
MASSIMO GHINI NEL FILM LA VOLTA BUONA
Della sindaca Raggi si dice di tutto. Meno che sia dc.
«Senta a me. Io, se facessi una campagna elettorale, della Raggi non parlerei neanche. Tanto quello che ha fatto è sotto gli occhi di tutti, inutile pure ripeterlo. Lo sa dove sta lo stile democristiano? Nelle piccole cose, che il mio occhio allenato alla politica è in grado ancora di scovare. Qualche strada che iniziano ad asfaltare all’improvviso, i bidoni della spazzatura che per magia sono un po’ più puliti... Il tutto, guarda caso, quando manca poco alle elezioni. Vecchio stile democristiano».
Il bello di Massimo Ghini è che non conosce eufemismi. La parola riflette fedelmente il pensiero e viene espulsa nell’atmosfera senza mediazione alcuna. Tanto per dirne una. Il 2 luglio esce un film di Vincenzo Marra che lo vede protagonista, si chiama La volta buona. Ghini interpreta un procuratore sportivo col vizio del gioco che vede in Pablito, calciatore in erba uruguayano, l’ultima possibilità per risalire la china e sfondare. Si arriva a parlare del bivio disegnato da Alberto Arbasino sulla strada delle «giovani promesse»: pochi arrivano a essere «venerati maestri»; agli altri tocca in sorte il destino «solito str...o».
MASSIMO GHINI NEL FILM SENZA PELLE
Anche nel prossimo film le hanno dato la parte del solito str...o.
«È colpa mia perché me le sono sempre andate a cercare. E rispetto a molti colleghi, soprattutto della mia generazione, ho anche avuto un po’ più di coraggio ad accettare certe parti, come dire, scomode. Ne ho visti tantissimi, rispetto a personaggi spigolosi come il sottosegretario Valenzani di Compagni di scuola, rifiutare, protestare, provare a farsi cambiare la parte tentando di conservare il film...».
Il Valenzani di «Compagni di scuola» di Verdone, la politica nella sua versione più perfida e subdola. Indimenticabile.
«Verdone mi aveva avvertito. “Massimo, ho una parte per te ma pensaci bene”. “E che sarà mai, Carlo?”. “Un politico. L’unico personaggio che non fa per niente ridere in un film in cui tutti fanno ridere”».
GIORGIO NAPOLITANO E MASSIMO GHINI
Lei e Claudio Amendola. Comunisti fin dalla nascita destinati a interpretare politici che non voterebbero mai neanche sotto tortura.
«È così. Mio papà emiliano, comunista, di quegli emiliani che le cose se si devono fare, si fanno e basta, senza starci a pensare troppo. Che si trattasse di diffondere l’Unità o di organizzare un volantinaggio. Sono un po’ come lui».
Nella sua fotina di WhatsApp c’è lei assieme a Giorgio Napolitano.
«Il giorno del premio De Sica. Napolitano me lo consegnò con un grande sorriso negli occhi. Conosceva sia mio papà che mia mamma, che lavorava al cerimoniale di Stato all’aeroporto di Fiumicino. Le direttive all’epoca erano di trattare con i guanti bianchi i democristiani e un po’ meno bene i comunisti. Ma mia mamma trattava benissimo anche i comunisti».
Senta, Ghini, non giriamoci attorno. Lei ha sfondato al cinema, in televisione, a teatro. Eppure le hanno dato giusto la miseria di un Nastro d’argento, per giunta quello alla carriera...
«Be’ (ride; ndr ), in Italia si sa che ai grandi viene riconosciuta la grandezza o un attimo prima di andarsene o, a chi va male, un attimo dopo».
Scherzi a parte, si è mai chiesto il perché?
«Certo che me lo sono chiesto. E da giovane ci rimanevo anche male. Protagonista in film in cui pure il fonico vinceva un David e io niente, manco candidato. Sarà stato il mio modo di essere troppo diretto, i miei modi di dire, di fare. Ho fatto da sindacalista una battaglia per impedire la produzione dei Promessi sposi in lingua non originale, con attori stranieri. L’ho vinta ma poi pagata cara».
the new pope from left john malkovich & massimo ghini photo by gianni fiorito
Senza quella avremmo avuto un futuro Leonardo DiCaprio nel ruolo di Renzo e Dustin Hoffman a fare Don Abbondio.
«In omaggio alle vecchie battaglie di Gian Maria Volonté, ho dato una mano a salvare gli attori italiani. Diciamo che molti colleghi non mi hanno ripagato con la stessa moneta. Si sa, la riconoscenza non è di questo mondo».
Ci faccia il nome di uno che le ha sbarrato la strada.
«Fabrizio Del Noce, per esempio. Da direttore di Rai Fiction bloccò la fiction Raccontami, che aveva fatto un boom incredibile di ascolti. Ancora sulla Rete ci sono blog che la rimpiangono».
Gli ha mai chiesto il perché?
«Ora so che vive in Portogallo, dove ci sono le pensioni non tassate. Se mi paga il biglietto, vado a raggiungerlo e glielo chiedo».
In Rai ha lavorato tanto, però.
«Senta questa. Anno 1996, il centrosinistra di Prodi vince le elezioni. Torno a Roma a festeggiare in piazza. Nel mondo del cinema si inizia a spargere il timore che, avendo io un’amicizia antica con Veltroni, che stava per diventare vicepremier e ministro della Cultura, ovunque avrei iniziato a comandare io. Tipo che la sera mi avrebbero trovato anche al Tg1 di mezza sera a condurre il telegiornale. Vuol sapere come andò a finire?».
eleonora giorgi massimo ghini foto di bacco
Come?
«Da quel giorno ho smesso di lavorare con la Rai. Mi avrebbe riportato nel giro della tv un berlusconiano diventato amministratore della Eagle Pictures, Giampaolo Sodano. Uno che mi apprezzava per le qualità artistiche. Senza chiedere nulla in cambio»