Da “il Venerdì - la Repubblica”
Lettera di un lettore a Michele Serra
Buongiorno Serra, il ventennale e il film (interpretazione superba di Favino) hanno riaperto la discussione su Craxi. Personalmente, al netto della pietas per i parenti, non trovo motivi per santificarlo. Lui e i suoi sodali (passati con armi e bagagli quasi tutti in Forza Italia) hanno tenuto in scacco l' Italia di allora.
Non si muoveva foglia senza l' assenso del suo partito che, seppure non maggioranza, rappresentò l' ago della bilancia in diverse occasioni. Ricordo però con chiarezza la vigliaccheria di tanti suoi beneficiati (molti ancora in circolazione) che, nel momento della sua maggiore debolezza, lo hanno abbandonato prendendo altre strade a loro più convenienti, alla faccia dell' ideologia politica o di ogni altra considerazione.
Risposta di Michele Serra
La caduta di Craxi per via giudiziaria, con le conseguenti interminabili dispute tra "garantisti" e "manettari", ha in sostanza impedito, per trent' anni, che si discutesse del craxismo in termini politici. Io stesso devo confessarti, caro Nadalig, di avere avuto qualche rimorso per certi titoli di Cuore (uno per tutti: "Torna l' ora legale, panico tra i socialisti"), dimenticando che lo scontro, ben prima che Mani Pulite intervenisse a risolverlo in maniera molto brusca, non era legale, o solamente "etico": fu profondamene politico.
Ciò che ricordo più nitidamente di quegli anni (in sostanza, gli Ottanta del secolo scorso) è la sfrenata retorica della "modernità" in base alla quale, tra le altre cose, il mondo comunista, e il suo capo Berlinguer, si ritrovarono fuori dai giochi. In parte perché effettivamente i loro parametri di giudizio e la loro cultura politica erano stati travolti dal passaggio d' epoca: il terziario era il settore in ascesa, la fabbrica cominciava a perdere la sua centralità, la dialettica operaio/padrone si disfaceva in una serie di variazioni più sfumate e sfuggenti. In parte perché passò lo sciagurato concetto (e i craxiani ne furono tra i principali artefici) che ogni critica alla società di mercato e al consumismo fosse "moralista".
Le magnifiche sorti della società di mercato parevano al di sopra di ogni critica, lo sviluppo sembrava incontenibile, il futuro gravido di benessere e di progresso, le ideologie un gravame detestabile (si usciva dagli anni di Piombo). Ma è anche a causa di quel clima così acritico e imprevidente, diciamo da cicale, che il debito pubblico italiano aumentò in modo smisurato, fino a raddoppiare.
Prima di Berlinguer era toccata a Ugo La Malfa, che invitava a fare con maggiore scrupolo i conti pubblici, la fama del guastafeste, dello scocciatore pessimista. Ma il Berlinguer dell' austerità, riletto oggi, francamente a me sembra molto più moderno di Craxi.
festa dell'unità berlinguer reggio emilia
E lo era proprio a partire da quei parametri (la sobrietà, la critica del consumismo, i limiti delle risorse, il rispetto dell' ambiente) che ieri furono bollati di lugubre moralismo, ma oggi focalizzano il dibattito politico. E che nel craxismo, e negli anni Ottanta in generale, non erano presenti oppure erano perdenti.
BETTINO CRAXI ENRICO BERLINGUER
Anche la lettera che segue invita a rileggere il nostro passato politico con un poco di nostalgia in meno, un po' di senso critico in più.