Estratto dell’articolo di Marco Galluzzo per il “Corriere della Sera”
Tutta la storia nasce da un pizzico di ingordigia. Da un’inchiesta giudiziaria portoghese ancora in corso. E anche dalla guerra in Russia. Possono sembrare gli ingredienti di un giallo, e invece sono i tasselli di una dialettica che è anche una partita a poker, per il rinnovo dei vertici della Ue.
Uno dei protagonisti è António Costa, ex premier portoghese, al momento ancora sicuro del fatto suo. Eppure qualcuno, almeno nel gruppo Socialista europeo, dove l’Italia ha un peso inferiore alla sua rappresentanza, ha fatto trapelare che il resto della storia potrebbe avere un protagonista diverso, l’ex premier italiano Enrico Letta.
Ovviamente stiamo parlando delle trattative per i cosiddetti top jobs, le 4 cariche di potere più ambite dell’Unione europea. Al momento esiste un consenso di massima sul bis di Ursula von der Leyen come numero uno, presidente della Commissione per un altro mandato. Su Costa invece, fra coloro che trattano per le tre famiglie politiche europee della maggioranza, Liberali, Popolari e Socialisti, si svolge una sorta di partita al rialzo, dove i distinguo corrispondono ad una richiesta raddoppiata degli altri.
In questo vortice di incertezza, dove Costa viene considerato debole dai suoi detrattori per alcune posizioni non troppo nette nella condanna a Mosca, oltre che per un’inchiesta che ha coinvolto un politico suo omonimo (così dice lui), è emerso il nome di Letta, che per conto della Commissione si è già segnalato, di recente, per una consulenza di alto profilo e d’eccezione: disegnare il futuro economico, e le strategie per agguantarlo, dell’Unione.
È ovvio che in questo trambusto di voci, trattative e colpi bassi (il Ppe direbbe sì a Costa solo se durasse due anni e mezzo, e non cinque, come presidente del Consiglio europeo; sarebbe l’ingordigia di cui sopra), il nome di Letta sia arrivato anche a Palazzo Chigi.
Ma resterebbe a mani vuote chi cercasse una reazione negativa di Meloni. Per la premier la partita è e deve restare tutta interna ai Socialisti europei, che ai suoi occhi hanno già tante gatte da pelare, a cominciare dall’emorragia di voti che hanno subito in alcuni Paesi chiave.
Ma non solo, per la premier l’eventualità che Letta possa guidare il Consiglio europeo non ha alcun punto di intersezione con la partita che lei sta conducendo: i top jobs infatti non hanno un piano in comune con le deleghe dei Commissari. Dunque, eventualmente, nessun indebolimento dei nostri obiettivi. Persino Paesi come Malta vantavano due esponenti in ruoli diversi, sino a ieri: Roberta Metsola, che potrebbe essere riconfermata alla guida del Parlamento Ue (uno dei top jobs), e la commissaria europea Helena Dalli.
Ma esiste anche un risvolto che può sorprendere. Tutti ricordano la celebre battuta di Meloni prima delle elezioni, nel corso della campagna elettorale: lei e l’ex premier del Pd si trovavano spesso una a fianco dell’altro in dibattiti, presentazioni di libri, convegni.
Con un rapporto da avversari (e tra caratteri distanti: il misurato professore di Sciences Po e l’orgogliosa underdog), ma che l’attuale premier definì leale.
Insomma una relazione politica civile, pur fra competitor, tanto che Meloni disse di sentirsi «come Sandra e Raimondo», tornando con la memoria alla celebre coppia di attori che impersonavano marito e moglie inseparabili, ma in perenne litigio. Due avversari che si sono sempre rispettati (Letta è stato un applaudito ospite di Atreju) e cercati in campagna elettorale per polarizzare il duello.
[…] Il ministro Crosetto dice che tutto gli sembra adatto solo a «un retroscena» di quotidiani. E la prima ministra danese, Mette Frederiksen, se saltasse Costa, avrebbe forse più chance di Letta. Insomma una storia tutta da scrivere, giovedì prossimo, al Consiglio europeo forse decisivo, se ne capirà di più.