Filippo Facci per “Libero quotidiano”
Nel ventennale della morte di Bettino Craxi dobbiamo abituarci anche ad alluvioni di cattiva memoria: io cerco di starne alla larga, ma ieri mi sono ritrovato uno scritto impaginato proprio sotto a un mio articolo, e fingere di non vederlo non potevo. Lo scritto era di Pietro Mancini, figlio del più noto Giacomo che fu parlamentare, ministro e segretario del Psi, morto nel 2002 dopo aver contribuito indirettamente alla compilazione del primo e celebre avviso di garanzia contro Bettino Craxi.
Suo figlio Pietro, invece, è stato giornalista alla Rai in quota socialista negli anni della grande lottizzazione (sul Giornale pubblicai una sua lettera a Craxi affinché lo aiutasse a ottenere una carica) dopodiché, nel 1990, divenne sindaco di Cosenza ovviamente con l'appoggio di Bettino.
Ora: è da quasi vent' anni, anche su altri giornali in cui ho lavorato, che mi ritrovo scritti di Pietro Mancini sempre sullo stesso argomento (Craxi) anche perché lui è molto incalzante nel proporli di continuo: ma ora credo, data la ricorrenza, che sia il caso di correggere qualche omissione di troppo. Pietro Mancini, nel suo scritto, invita a «riflettere sul clima drammatico dei primi anni '90» e «sulla viltà di alcuni ex craxiani, passati dal codardo encomio al servo oltraggio di Bettino», «di cui sono stato amico».
Va bene: ma aggiungiamo, allora, che tra gli apparenti oltraggiatori c'era anche Pietro Mancini. Dopo aver scritto lettere per fare carriera in Rai e per fare il sindaco di Cosenza, sul Mattino del 16 settembre 1992 descrisse Craxi come «grande affossatore del Psi» e, nel tardo aprile 1993, quando la Camera votò contro alcune autorizzazioni a procedere contro Craxi (i giorni delle monetine al Raphael), Pietro annunciò di aver scritto alla Procura di Milano per esprimere stima e solidarietà: il voto della Camera era stata «una decisione arrogante tesa a mortificare l' importante lavoro dei magistrati e le attese dei cittadini onesti».
DUELLO NEL PSI
Sono libere opinioni, però ricordiamole. Niente di male. È molto più importante, tuttavia, quello che Pietro Mancini, ieri, ha scritto di suo padre Giacomo, il cui ricordo altrimenti non ci permetteremmo di disturbare. Pietro, anzitutto, non dice di essere il figlio di Giacomo, e sarà una distrazione. In seguito spiega che per la segreteria Psi fu proprio suo padre «a proporre, per primo, il nome di Craxi» (un merito, supponiamo) e infine spiega che suo padre si recò dai magistrati di Milano, nel settembre 1992, per parlare «di responsabilità politiche e del funzionamento del partito, non penali». In genere si va dai magistrati a parlare di responsabilità penali, non politiche: ma limitiamoci a rielencare i fatti.
LA VISITA AI PM
I rapporti tra Giacomo Mancini e Bettino Craxi furono buoni sino al maggio 1992 (lo testimoniano lettere e interviste) ma poi Craxi crollò, e i rapporti pure. Il 7 novembre Mancini senior rilasciò un' intervista al Corriere della Sera in cui spiegò che i finanziamenti al Psi «li conosceva solo Craxi». In seguito, il 18 novembre, Mancini andò volontariamente dai pm di Milano e mise a verbale che i soldi andavano direttamente al segretario. Sinché, il 15 dicembre 1992, alle 13,04, l' agenzia Ansa annunciò il primo avviso di garanzia a Craxi, e scrisse che «a determinare la svolta sarebbero state le dichiarazioni rese alcune settimane fa, come testimone, dall' ex segretario del Psi, Giacomo Mancini». Poi, per conferma, bastò leggere le carte.
Curiosità: anche nella serie tv 1992 trasmessa da Sky - che mi vide nel ruolo di consulente per la parte storica, invero scarna - la funzione prettamente penale di Giacomo Mancini nel primo avviso di garanzia è chiaramente delineata, anche se l' attore era decisamente poco somigliante. Ordunque: l' articolo di Pietro Mancini, pubblicato su Libero di ieri, è titolato «Con Craxi morì la divisione dei poteri» e c'è del vero, morì allora: solo che il politico Craxi, anzitutto, rese conto al potere politico in Parlamento; il politico Giacomo Mancini, invece, rese conto direttamente al potere giudiziario pellegrinando alla Procura di Milano.
Questa, a mio avviso, è Storia, anche se noi giornalisti, degli storici, siamo solo gli sguatteri. I giornalisti raccolgono fatti e li mettono in fila, poi, se credono, possono esprimere delle opinioni. Poi i fatti li si può interpretare, ma sino a un certo punto.
2 - CON CRAXI MORÌ LA DIVISIONE DEI POTERI
Pietro Mancini per “Libero quotidiano”
20 anni dopo la triste scomparsa di Bettino Craxi, ad Hammamet, in Italia la questione socialista resta grande politicamente. Qualche anno fa, Luciano Violante - che, nei primi anni '90, fu tra i dirigenti del Pds più duri con il Psi e con il suo segretario-osservò: «Pensavamo di veder passare i cadaveri dei nostri avversari. Abbiamo, invece, visto passare i pezzi del nostro ordinamento costituzionale». Si deve cominciare a riflettere sul clima drammatico dei primi anni '90, sulla viltà di alcuni ex craxiani, passati dal codardo encomio al servo oltraggio di Bettino che, nel 1976, all' hotel Midas di Roma, fu eletto segretario al posto di Francesco De Martino.
Fu Giacomo Mancini a proporre, per primo, il nome del deputato autonomista, battendosi per rinnovare il gruppo dirigente e per cambiare la linea politica del Psi che, con De Martino, era stata troppo subalterna al Pci di Berlinguer. Forse non è un caso che Bettino e Giacomo, in periodi diversi, furono due campioni dell' autonomia socialista, entrambi avversati dai "poteri forti" e vittime di dolorose vicende giudiziarie, seppure con accuse diverse. Furono aspri i contrasti tra i due, animati da passione politica e con caratteri forti, ma non rinunciarono a manifestarsi da lontano solidarietà.
bettino craxi enrico berlinguer
Oggi gli storici devono approfondire l' inizio dello sgretolamento del principio costituzionale della divisione dei poteri, con la subordinazione del potere legislativo al giudiziario. Dopo la morte di Craxi, di cui sono stato amico, e la scomparsa del centenario Psi, nel nostro Paese manca una forza autenticamente democratica, riformista, garantista, che si batta a favore dell' autonomia della politica.
Come scrisse l' allora Capo dello Stato, Giorgio Napolitano, alla vedova di Craxi, donna Anna, il ricordo dello statista milanese e la sua morte, lontana dall' Italia, costituiscono «aspetti tragici della storia, politica e istituzionale, della nostra Repubblica, che impongono ricostruzioni non sommarie e unilaterali». Né, a giudizio dell' ex Presidente, può venir sacrificata al solo discorso sulle responsabilità di Craxi, sanzionate per via giudiziaria, la «considerazione complessiva della sua figura di leader politico e di uomo di governo, impegnato nella guida dell' esecutivo e nella rappresentanza dell' Italia, sul terreno delle relazioni internazionali».
BETTINO CRAXI E PAOLO PILLITTERI
Giacomo Mancini - intervistato da Francesco Merlo, per il Corriere della Sera, il 7 novembre del 1992 - difese l' operato del segretario amministrativo del Psi, Vincenzo Balzamo, stroncato da un infarto, qualche settimana prima. «La vastità del fenomeno, i flussi di finanziamento, che hanno avuto come destinatario il Psi, non sono, certamente, passati da Balzamo. Li conosceva solo Craxi».
E, dopo un colloquio con il pool della Procura coordinato da D' Ambrosio, che indagava sui finanziamenti illeciti ai partiti, spiegò: «Quando ero segretario del Psi, non scaricai alcuna responsabilità sul segretario amministrativo dell' epoca, che era il senatore Augusto Talamona... Negli anni più recenti, il ruolo del partito è cresciuto.
E non sempre il segretario amministrativo del partito è in grado di seguire tutti i risvolti politico-finanziari, dei quali si sono interessati personaggi preminenti». Mancini, da ex segretario, ai pm di Milano parlò di responsabilità politiche, e del funzionamento del partito, non penali.