1 - L'ITALIA SI IMPUNTA SUL SALVA STATI CONTE: "STRUMENTO INADEGUATO"
Marco Bresolin per “la Stampa”
L'Italia e l' Olanda, per ragioni opposte, continuano a puntare i piedi. E dunque non sarà facile per l' Eurogruppo dare il via libera all' utilizzo del salva-Stati (Mes) nel pacchetto di misure anti-crisi da sottoporre al Consiglio europeo. Motivo per cui Charles Michel non ha ancora convocato il summit tra i leader: con ogni probabilità slitterà alla prossima settimana. Un segnale che la distanza da colmare è estremamente ampia. «L' Europa si trova davanti alla più grande prova dalla sua nascita» ha detto ieri Angela Merkel. E sulle soluzioni ancora non ci siamo.
Sul tavolo c' è una proposta di compromesso sul Mes che raccoglie il consenso della maggior parte dei ministri dell' Eurozona. Prevede linee di credito (Eccl) fino al 2% del Pil per ogni Paese (circa 36 miliardi per l' Italia) con «condizioni minime», come le ha definite ieri Merkel: per il governo dell' Aja sono troppo leggere, mentre per quell' italiano sono ancora troppo pesanti. In sostanza i Paesi dovranno usare quei prestiti solo per le spese legate all' emergenza, rispettare i vincoli economici imposti dai parametri e dalle raccomandazioni Ue.
Ci sarebbe poi da firmare anche un protocollo d' intesa (il «Memorandum») con le condizioni del prestito. Secondo quanto riferito da fonti Ue, il Memorandum sarebbe meno invasivo di quello firmato a suo tempo dalla Grecia (niente Troika), ma comunque diverso da un Paese all' altro, il che potrebbe evidenziare le vulnerabilità italiane.
Gli olandesi vogliono imporre chiare condizionalità macro-economiche da far scattare una volta terminata la crisi, con un rigido piano di riforme da rispettare.
Se nella posizione olandese c' è anche molta tattica, quella di Roma nasconde un grande problema politico. Ieri il M5S ha mandato un chiaro avvertimento al ministro Roberto Gualtieri. «Il nostro 'no' al Mes è categorico. Il Movimento è pronto a tutto» ha tuonato Alessio Villarosa, sottosegretario al Tesoro. E infatti in serata il premier Conte ha confermato la linea: «Diciamo sì agli Eurobond, ma no al Mes, che è uno strumento totalmente inadeguato».
Oggi Gualtieri sarà il ministro nella posizione più scomoda, anche perché il piano per far passare i Coronabond è andato a sbattere contro il muro dei Paesi contrari. E gli spiragli per il fondo proposto da Parigi al momento non hanno nulla di concreto. Il ministro Bruno Le Maire punta a strappare nelle conclusioni dell' Eurogruppo almeno una citazione per questo strumento, anche se nella migliore delle ipotesi sarà molto generica e soltanto come possibile opzione futura ancora tutta da discutere.
C' è un generale consenso, invece, sulle altre misure.
Ma anche qui restano dei nodi tecnici da sciogliere. Sia per "Sure", l' iniziativa anti-disoccupazione della Commissione che punta a mobilitare 100 miliardi di euro di prestiti ai governi. Sia per il fondo di garanzia della Banca europea per gli investimenti (fino a 200 miliardi per le imprese). Per raggiungere l' obiettivo, entrambi hanno bisogno di 25 miliardi di euro di garanzie da parte dei governi, il che non è affatto scontato.
giuseppe conte roberto gualtieri mes
2 - EUROGRUPPO, L'ALTOLÀ DI PARIGI: FONDO COMUNE O NON SI FIRMA
Antonio Pollio Salimbeni per “il Messaggero”
Una batteria anticrisi completa, che offra anche una prospettiva per l'economia e per la politica europee? O una risposta schiacciata sull'immediato? Questa è la posta della riunione dell'Eurogruppo di oggi alla quale partecipano pure i ministri finanziari non euro.
bruno le maire emmanuel macron
La questione è oltremodo semplice: si tratta di decidere se inserire o meno nell'armamentario europeo l'emissione comune di obbligazioni a 15-20 anni per finanziare la ripresa economica con una visione di lungo periodo. Cioè si tratta di fare, sotto emergenza sanitaria ed economica globale, ciò che nella Ue non è mai stato fatto. Condividere il debito, sia pure eccezionalmente e per un obiettivo limitato, sarebbe un salto epocale ed è per questo che i giochi sono tutti aperti. L'esito è altamente incerto.
A Berlino si pensava che bastasse aver mollato la presa sulla stretta condizionalità dei prestiti del Meccanismo europeo di stabilità: la parola d'ordine del ministro delle finanze Scholz «niente Troika questa volta» era l'ultimo tabù superato dopo il patto di stabilità con le regole di bilancio nel freezer. Ancora ieri la cancelliera Angela Merkel ha evocato lo spirito della grande e forte Europa, ma si è limitata a ribadire l'impegno a usare il Meccanismo europeo di stabilità (almeno 240 miliardi sui 410 miliardi disponibili) per prestiti a condizioni light e il piano antidisoccupazione appena proposto dalla Commissione (100 miliardi). Di coronabond o simili neppure, l'ombra, nonostante a Berlino vi siano anche altre opinioni.
Ci sono poi i 200 miliardi della Bei per le imprese e abbiamo i tre «pilastri» dell'azione finanziaria europea (oltre a quella della Bce) sui quali c'è accordo. Sul Mes ci sono le resistenze dell'Italia (fumo negli occhi per il M5S), tuttavia esse dovrebbero cadere se il quarto «pilastro» entrasse con certezza nel menù europeo, indica più di una fonte (non italiana).
La riunione di oggi si preannuncia molto difficile. Non è detto che i ministri troveranno un accordo. In ogni caso i 27 leader dovranno occuparsene direttamente in un caso o nell'altro. Il ministro delle finanze francesi Bruno Le Maire ha annunciato che «un accordo sta emergendo sui primi tre livelli della risposta europea ma non è abbastanza, spero si apra la porta a questo strumento per la risposta globale alla crisi ».
La Francia indica che non accetterà un pacchetto senza misure a sostegno del rilancio economico: «Non dobbiamo fare l'errore di dieci anni fa, gli stati devono ripartire alla stessa velocità, non possiamo ritrovarci dopo la crisi in situazioni di profonda divergenza tra le economie». È illusorio pensare di avere tempo. Ne ha parlato l'ex premier Romano Prodi ieri: se la risposta non è veloce «la caduta dell'economia sarà cosi forte che i mezzi per contrastarla non basteranno». Inoltre è anche in gioco il ruolo strategico della Ue: «Se l'Europa fosse una forza unita potrebbe ben stampare banconote».
LA STRADA
La proposta francese deriva da quanto indicato da 9 leader europei (tra cui Conte, Sanchez e Macron) in una lettera alla Ue in cui chiedevano, appunto, uno strumento comune di debito europeo. Le Maire ne ha precisati i contorni: dimensione finanziaria pari al 3% del pil complessivo, circa 420 miliardi di euro; garanzia comune, in solido tra gli Stati ma, per superare le resistenze tedesche e dei nordici, si può ripiegare sulla garanzia nazionale in proporzione al pil (ciascuno stato risponde per propria parte).
Il debito sarebbe rimborsato con nuove risorse (viene citata l'Iva). Il fondo «deve finanziare il rilancio dell'economia, gli investimenti, non la spesa corrente, durerebbe 5-10 anni. Non si tratta di decidere adesso gli aspetti tecnici per i quali ci si può dar tempo due-tre mesi, «ma è decisivo faccia fin d'ora parte della risposta europea: è una mutualizzazione del debito futuro con un obiettivo definito, non una mutualizzazione del debito passato». I contributi agli Stati finanzierebbero servizi pubblici di prima necessità (ospedali); filiere industriali minacciate dalla crisi (aeronautica, auto, turismo, trasporto aereo); sviluppo nuove tecnologie per competere con Usa e Cina.
Il fronte a favore conta 12-13 Stati: oltre ai 9 della lettera (Italia, Francia, Spagna, Portogallo, Grecia, Irlanda, Slovenia, Lussemburgo, Belgio) già dieci giorni fa avevano espresso orientamento simile Slovacchia e i paesi baltici. Olanda, Austria e Finlandia nettamente contrari. Il governo tedesco è contrario nonostante nel paese ci sia un gran dibattito. Non è secondario che la Bce sia a favore di un coronabond perché ne alleggerirebbe l'esposizione sui mercati. L'ultima indicazione è che Berlino preferirebbe temporeggiare rinviando la decisione sul «quarto pilastro» all'autunno. Il boccone resta indigeribile.