Estratto dell’articolo di Luigi Ferrarella per il “Corriere della Sera”
i pm di Milano Fabio De Pasquale e Sergio Spadaro -U43070110205349sDC-593x443@Corriere-Web-Sezioni
«Se si può sindacare con lo strumento penale la valutazione che fa un pm in dibattimento, beh, non dico che siamo a livello di Erdogan in Turchia, però quasi... Allora l’indipendenza del pm non esiste più», aveva lamentato in aula a Brescia il procuratore aggiunto uscente di Milano, Fabio De Pasquale:
spettacolare paradosso per cui proprio il pm che ottenne la prima condanna definitiva di Bettino Craxi e l’unica di Silvio Berlusconi, con questa linea di difesa diventava l’involontario spot pro separazione delle carriere caldeggiata dal governo di destra, modello di pm «all’americana» che con gli ingredienti di un processo fa quello che vuole. Solo che in Italia non si può fare.
I giudici Roberto Spanò, Wilma Pagano e Paola Giordano condannano a 8 mesi (attenuanti generiche e pena) De Pasquale e il più giovane pm Sergio Spadaro (oggi alla Procura europea) per «rifiuto d’atti d’ufficio» nel non aver voluto depositare nel febbraio-marzo 2021, a ridosso della sentenza del processo di corruzione internazionale Eni-Nigeria, talune chat dell’accusatore di Eni ma anche coimputato Vincenzo Armanna che, segnalate ai colleghi dal pm Paolo Storari tramite la collega Laura Pedio e il procuratore Francesco Greco in un’inchiesta collegata, incrinavano l’attendibilità di Armanna assai valorizzato dai due pm al pari del suo sodale Piero Amara.
Quei documenti mostravano infatti che aveva taciuto l’esistenza di un rapporto patrimoniale di 50.000 dollari con il proprio teste 007 nigeriano invocato a confermarne le accuse a Eni; che in vista della trasferta di Pedio in Nigeria aveva indottrinato il teste Mattew Tonlagha sulle risposte da darle contro Eni; e che aveva contraffatto due proprie chat del 2013 […] per far sembrare che in quei messaggi l’a.d. Eni Claudio Descalzi e il manager Claudio Granata avessero tentato di comprarne la ritrattazione, quando invece dagli accertamenti di Storari in Vodafone i numeri ascritti da Armanna a Descalzi e Granata risultavano inattivi.
De Pasquale e Spadaro ribattono d’aver ricevuto dalle mail di Storari, solo tramite Greco e dopo molti giorni di ritardo di Greco, nessun documento formalmente depositabile, ma «solo bozze GdF e scritti informi e confusi di Storari», «ciarpame» anche a detta di Pedio, «polpette avvelenate» di «una controinchiesta» di Storari per sabotare il processo e «far cosa utile a Eni».
Ma i pm bresciani [...] obiettano che ad esempio proprio Pedio [...] in aula prima ha in effetti sostenuto che nemmeno si capiva quali atti Storari chiedesse ai colleghi di depositare, ma «poi si è “stupita” allorquando il difensore della parte civile le ha fatto presente che ben due informative GdF erano formalmente depositate nel suo fascicolo, e si è contraddetta allorquando ha ammesso d’aver raccolto ella stessa in prima persona» la testimonianza «del dirigente Vodafone che attestava l’inoperatività delle utenze falsamente attribuite a Granata e Descalzi».
FABIO DE PASQUALE SERGIO SPADARO
Inoltre «non si comprende che cosa ci fosse di “ostile”» nelle mail d’allerta di Storari «se non il fatto che quelle chat andavano a intaccare l’attendibilità di Armanna riducendo le possibilità di “vincere” il processo».
La linea Maginot dei due imputati si è così spostata sull’asserita assenza di una norma penale che li obbligasse a depositare esiti di attività d’indagine svolte da un altro pm [...]: facoltà che De Pasquale e Spadaro rimarcano di non aver voluto usare, sino all’ultimo rivendicando la propria «discrezionalità tecnica» di valutare «ciarpame» l’input di Storari.
Tesi che per i pm bresciani cozza non solo con l’assurdità allora di un eventuale alibi di un imputato di omicidio non portato a conoscenza delle difese benché scoperto da altro pm in altro fascicolo, ma soprattutto con una contraddizione: De Pasquale e Spadaro, infatti, per accreditare manovre di Eni su Armanna, non avevano invece esitato a chiedere al giudice di Eni-Nigeria, Tremolada, di convocare in extremis il teste Amara su 14 punti, senza dire che l’ultimo (omissato) avrebbe svelato il velenoso infondato de-relato di Amara sull’“avvicinabilità” del giudice: «Amara doveva servire alla tesi d’accusa e quindi ai pm andava bene, anche a costo di (o addirittura per) far saltare il giudice». Ma il legale Massimo Dinoia prepara l’appello: «La condanna è precedente pericoloso per l’autonomia dei pm».
PIERO AMARA CLAUDIO DESCALZI piero amara 7 LA NOTA DI FRANCESCO GRECO SUL VIDEO DI AMARA E ARMANNA francesco greco foto di bacco