- IL PROFILO TWITTER (PARODIA) DELLA REGINA RIASSUME BENE LA SITUAZIONE:
Dear Members of Parliament, you don’t want Theresa May’s deal, you don’t want no deal, you don’t want a second referendum, you don’t want to remain and now don’t want an election? Could someone please call your Queen and talk one through what you do want? Regards. EIIR
— Elizabeth Windsor (@Queen_UK) 4 settembre 2019
- BREXIT: LEGGE ANTI-NO DEAL PASSA ANCHE ALLA CAMERA DEI LORD
(ANSA) - Passaggio completato anche alla Camera dei Lord per la legge anti-no deal promossa ai Comuni dalle opposizioni e da un gruppo di Tory dissidenti con l'obiettivo di cercare d'imporre al recalcitrante governo di Boris Johnson la richiesta all'Ue di un rinvio della Brexit oltre la scadenza del 31 ottobre. Il testo è stato approvato dalla Camera alta senza sorprese e senza opposizione, visto che anche l'esecutivo - pur contrario ai suoi contenuti - aveva preferito rinunciare a porre ulteriori ostacoli puntando ormai a risolvere il braccio di ferro sulla Brexit con la convocazione di elezioni anticipate nel Regno Unito appena possibile.
boris johnson regina elisabetta
Ora per la conclusione dell'iter sprint della legge non resta che il suggello scontato della firma della regina, o Royal Assent, e il deposito a Westminster, previsto per lunedì. Vale a dire lo stesso giorno in cui il governo intende riproporre - a legge varata - una mozione in favore del voto politico anticipato a metà ottobre: mozione a cui peraltro le opposizioni rimangono per ora orientate a far mancare il quorum.
- BREXIT: ALTA CORTE, SOSPENSIONE PARLAMENTO È LEGALE
(ANSA) - La sospensione del Parlamento britannico, annunciata dal governo Tory di Boris Johnson per 5 settimane a partire dalla prossima, è legale. Lo hanno confermato i giudici dell'Alta Corte britannica di Londra respingendo - dopo che un primo ricorso di militanti anti Brexit era stato respinto in Scozia - le contestazioni presentate dagli avvocati dell'attivista Gina Miller con il sostegno di politici pro Remain di vari partiti incluso l'ex premier John Major. Il caso passerà alla Corte Suprema per un ulteriore passaggio.
il discorso della regina alla camera dei lord
- BREXIT:LABOUR RIPETE NO A VOTO LAMPO, OPPOSIZIONI A CONSULTO
(ANSA) - Il Labour resta orientato a votare no lunedì di fronte al secondo tentativo preannunciato dal governo Tory di Boris Johnson di presentare una mozione alla Camera dei Comuni britannica per indire elezioni anticipate nel Regno Unito il 15 ottobre. Lo ha ribadito oggi la titolare degli Esteri del governo ombra laburista, Emily Thornberry, a margine di un incontro in teleconferenza tenuto dal leader del suo partito, Jeremy Corbyn, con i responsabili parlamentari di tutte le altre forze di opposizione per coordinare le posizioni. Incontro in cui è stata ribadita la volontà di garantire prima lo stop al rischio di una Brexit senz'accordo (no deal). Il sospetto di Corbyn che gli indipendentisti scozzesi dell'Snp si possano alla fine sfilare dando l'ok al voto immediato - nel timore che gli elettori interpretino la tattica della dilazione come una forma di "paura", come Johnson già imputa agli oppositori - è stata intanto per ora smentita dal capogruppo a Westminster di questa formazione, la terza per consistenza ai Comuni dopo Tory e Labour, Ian Blackford.
Il premier in carica invoca lo sbocco elettorale ormai come unica via d'uscita dallo stallo sulla Brexit dopo l'approvazione ai Comuni di un legge anti-no deal promossa dai suoi contestatori per imporre un rinvio del divorzio da Bruxelles oltre la scadenza del 31 ottobre: rinvio che lo stesso Johnson peraltro si dice indisponibile a chiedere. "La possibilità di avere un'elezione generale è ovviamente assai attraente" per l'opposizione, ha affermato la Thornberry, "ma dobbiamo prima risolvere una crisi imminente" e assicurarci che la convocazione delle urne non sia "un trucco" per far sì che nel frattempo Londra esca comunque dall'Ue "senz'accordo".
jeremy corbyn in piazza contro boris johnson
Per evitare questo rischio, Corbyn nei giorni scorsi aveva detto di voler prima lasciar entrare in vigore la legge anti-no deal, cosa che accadrà in effetti proprio lunedì. Ma vari esponenti pro Remain del suo e di altri partiti lo spingono a continuare a far ostruzionismo almeno per alcune settimane, in modo da cercare di spostare le elezioni oltre il 31 ottobre, nella speranza di mettere in imbarazzo Boris Johnson.
- BORIS
Ian Buruma per “la Repubblica”*
*Traduzione di Anna Bissanti
L'idea che il Primo ministro britannico Boris Johnson sia un uomo del popolo, un leader della gente comune che combatte le élite dell'establishment, potrebbe sembrare un po' inconsueta o addirittura stravagante. Dopo tutto, Johnson incarna alla perfezione l'élite: ha studiato a Eton e Oxford e ha quella ricercatezza eccessiva nel parlare e nei modi tipica dell'upper class britannica. Da giornalista e da parlamentare in qualche caso è stato una voce spregiudicata, spesso scorretta, ma sempre impegnata della classe dirigente conservatrice.
Eppure, ecco che sostiene di rappresentare "la voce del popolo" contro le voci che in parlamento, da sinistra come da destra, contestano le sue politiche ispirate a una linea dura e intransigente per la Brexit. Parlare di tutti gli oppositori di una hard Brexit in termini di nemici del popolo è stata una caratteristica costante della campagna a favore dell'uscita dalla Ue. Da quando la popolazione si è espressa nel referendum del 2016, tutti i tentativi di attenuare le ripercussioni negative trovando un compromesso o posponendo la rottura sono visti alla stregua di un attacco alla volontà popolare.
In parlamento, Johnson deve far fronte a una vasta opposizione, soprattutto dopo che ha deciso la sospensione delle attività per arrivare direttamente alla Brexit il 31 ottobre, con o senza accordo. Martedì, una maggioranza ha votato a favore di una mozione che obblighi il Primo ministro a rimandare la Brexit qualora non si riesca a raggiungere un accordo. Johnson ha rimosso tutti i conservatori che hanno votato a favore di questa mozione, tra i quali i ministri del precedente governo. E poi ha invocato le elezioni generali, che Johnson presenta come una battaglia tra "il popolo" e "i politici" che gli intralciano la strada.
I provvedimenti del premier britannico sono fuori dal comune, ma non sono illeciti. Di sicuro, non sono tipici dei conservatori - nel senso che non sono mirati a tutelare le leggi tradizionali o l'ordine costituito. Perdipiù, sono assai poco British. Preoccupati, alcuni commentatori instaurano paralleli con alcuni episodi avvenuti durante l'ascesa del fascismo.
In verità, da studioso del mondo classico, Johnson sarà sicuramente consapevole che il modello del demagogo dell'upper class che conquista il potere fomentando l'ira delle classi inferiori risale alla fine della Repubblica nell'antica Roma, quando i tribuni della plebe attaccarono i patrizi in Senato aizzando e sobillando le masse spesso violente. Senza dubbio, nei privilegi di quell'istituzione c'erano molte cose sbagliate, ma a segnare la fine della Repubblica e l'inizio della dittatura imperiale fu proprio una demagogia di questo tipo.
Neanche i referendum rientrano tra le abitudini britanniche consolidate. Nel 1945, quando Winston Churchill propose di indire un referendum per prolungare il suo governo di guerra, il leader laburista Clement Attlee bocciò l'idea e la definì "avulsa da tutte le nostre tradizioni". Nei regimi chiusi, i plebisciti sono considerati una forma di "democrazia diretta", quando si presume che la volontà popolare trovi la sua espressione più pura nella volontà di un grande leader.
Tuttavia, il fulcro della democrazia parlamentare, di cui la Gran Bretagna è stata una dei primi e più fieri esempi, è che è indiretta. L'idea che lo stato rappresenti la volontà popolare è un concetto della Francia giacobina, sempre respinto dai conservatori britannici a cominciare da Edmund Burke. In una democrazia parlamentare "il popolo" non esiste, e tanto meno esistono una volontà popolare o una voce popolare. I politici sono scelti per rappresentare interessi differenti, che in seguito possono essere oggetto di discussione in parlamento, nella speranza che approdino a una soluzione grazie a compromessi.
In una democrazia liberale, anche l'opinione pubblica è più una forma di rappresentanza che un'espressione diretta. Nei secoli più recenti, l'opinione pubblica è stata diffusa dalla stampa, cartacea o televisiva, mediata da giornalisti e direttori. Tutto questo, ovviamente, adesso è cambiato. Grazie a internet, la maggior parte delle opinioni circola ormai senza alcuna forma di mediazione. Adesso, il popolo ha centinaia di milioni di voci. I giornalisti sembrano retrogradi e, come i politici, sono visti perlopiù con diffidenza - danno "notizie fasulle", sono "obsoleti" ed "elitari".
Ciò non significa che i giornalisti e i politici siano tutte persone perbene e che abbiano opinioni giuste. Tutt'altro. Tuttavia, abbiamo già potuto constatare quanto sia facile per demagoghi e impostori - in assenza di una forma qualsiasi di mediazione, in parlamento come nei media - manipolare le voci del popolo. Sospendendo il parlamento in uno dei dibattiti più importanti del secolo, Johnson espone la democrazia liberale agli stessi pericoli a cui la Repubblica Romana fu esposta dagli agitatori populisti.
Nella campagna per la Brexit, ci sono stati molti aspetti sconvenienti: paure esagerate degli immigrati, illusioni di grandezza e così via. Il tema più rispettabile è stato quello che ruota attorno alla questione della sovranità. L'Ue non è uno stato democratico. Farne parte significa che certe leggi possano essere proposte e approvate da persone che non sono state elette direttamente in elezioni nazionali. È indispensabile aprire un caso purista, in base a cui una democrazia liberale non possa delegare i poteri legislativi a istituzioni sovranazionali senza stemperare la propria sovranità nazionale.
In verità, alcune delle leggi giudicate molto irritanti dai sostenitori della Brexit non sono per nulla europee, bensì nazionali. Il punto, però, non è se le leggi siano giuste o sbagliate, ma chi abbia il diritto di scriverle. Alcuni patrioti britannici - non senza motivo, in fondo - pensano che questo sia il nocciolo di fondo del sistema democratico, esemplificato al meglio dalla Madre di tutti i parlamenti. Quando però esaltano fanaticamente la volontà popolare, espressa in un referendum, diventano difensori di una tradizione politica assai diversa, ostile al sistema parlamentare britannico.