Mattia Feltri per la Stampa
Una sfilata da luci della ribalta: il Presidente della Repubblica, Oscar Luigi Scalfaro, lassù innalzato anche da Bettino Craxi perché «fu il mio fedele ministro dell' Interno», diffonde una nota sulle sue responsabilità di garante della Costituzione, e dunque un condannato è un condannato, che ci posso fare?
Il premier Massimo D' Alema va dal procuratore di Milano, Francesco Saverio Borrelli, e il procuratore ascolta, e ascolta, e poi, anche lui col faro della legalità a illuminargli il cammino, dice niente da fare, un condannato è un condannato, fate un decreto e assumetevene la responsabilità; ma siccome non erano più i tempi - e non lo sarebbero più stati - del primato della politica, D' Alema non procedette oltre il baciamano all' ordine costituito.
Il capolavoro di situazionismo fu del segretario di Stato vaticano, cardinale Angelo Sodano, che dopo aver accolto in profonda contrizione le suppliche della figlia Stefania, trasse di tasca due rosari e glieli porse, perché ne facesse dono al padre, insieme all' assicurazione di un posto di privilegio nelle sue preghiere.
Così Bettino Craxi restò a morire ad Hammamet, nella latitanza dorata il cui culmine fu la sfacciataggine (ironia, per chi non l' avesse capito) d' essere operato per il cancro al rene nello squallore dell' ospedale militare, dove un medico del San Raffaele si incaricò di reggere la lampada per fare luce sul lavorio chirurgico nelle viscere dell' ex presidente.
PRESUNTO COLPEVOLE - IL LIBRO SU CRAXI DI MARCELLO SORGI
Nessuno ci aveva ancora riflettuto sopra, sul Bettino Craxi che ventuno anni prima era stato sorpreso da Gennaro Acquaviva con la testa tra le mani, in lacrime, sotto gli occhi una lettera di Aldo Moro spedita dalla «prigione del popolo». Si era decisa, essenzialmente dalla Democrazia cristiana e dal Partito comunista, la linea della fermezza, che poi era la linea dello star fermi nel senso di non far nulla. Riuscì benissimo, tutti fermi mentre Moro veniva processato e assassinato dalle Brigate rosse, e mentre Craxi in solitaria (di già) predicava una trattativa che lo portò più vicino ai sequestratori di quanto non sia riuscito ai servizi segreti, probabilmente impegnati nella stessa interpretazione della fermezza proposta dal governo.
Nessuno ci aveva ancora riflettuto sopra, fino a questo libro asciutto e opulento di Marcello Sorgi (Presunto colpevole. Gli ultimi giorni di Craxi, Einaudi, pp. 111, 20), di cui l' esempio è il breve e fulminante ritratto dei due protagonisti - Bettino Craxi in conferenza stampa interpellato vanamente dall' esordiente Sorgi: non risponde e chiede se ci siano altre domande (era un suo crudele modo di svezzare i giovani interlocutori), e Aldo Moro che riceve a Palazzo Chigi don Riboldi e una delegazione di bambini reduci del terremoto del Belice, a cui non promette nulla di quanto non possa mantenere, poiché la politica non è mestiere per fanfaroni.
La tesi del libro arriva quando deve arrivare, piazzata al termine del racconto di vite parallele con spietatissima noncuranza: «Entrambi finiscono schiacciati, stritolati in un meccanismo che non si accontenta di distruggerli politicamente, ma presuppone la loro eliminazione fisica. Salvarsi non gli è consentito». È l' ignominia di uno Stato capace di venire a patti coi peggiori ceffi del pianeta per spuntarne un vantaggio purchessia, e di colpo intriso di rigore etico se si tratta di tendere la mano - per umanità e amor proprio, mica per altro - a due leader sbilanciati sull' abisso.
Ma se per Moro lo si sa, e lo si è scritto spesso, dirlo di Craxi è un passo verso l' assennatezza perduta ventotto anni fa, quando all' arresto di Mario Chiesa e all' apertura della falsa rivoluzione giudiziaria si decise - nel senso più biblico dell' iniziativa - di fare del capo socialista «il grande capro espiatorio», come scrive Sorgi con una secchezza irrimediabile. Il suo cadavere per la nostra catarsi: che oscenità.
Ciechi e autolesionisti, ci si è tutto riversato addosso, com' era prevedibile e previsto: con Craxi, spiega Sorgi, si «consegna alla storia del Novecento il principio del primato della politica, mettendoci una pietra sopra». La politica che non sa più resistere a un procuratore, ceduta al servaggio dell' opinione pubblica, svilita a materiale di controllo via social ora per ora, e dunque immeschinita e disarmata, in balìa del capriccio. Una repubblica fondata sulla menzogna e che, in un mare di menzogne, naufraga amaramente.
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