Giacomo Amadori per “La Verità”
La Ferrari, dopo una partenza sprint nel Mondiale di Formula 1, ieri nel Gran premio di Imola ha toppato, ottenendo solo un sesto posto con Charles Leclerc. Così l'Emilia, per la casa di Maranello, si è rivelata matrigna.
Ma non è il solo dispiacere che l'azienda deve incassare nella Bassa. Da quelle parti c'è un ex primo ministro, Romano Prodi, che sponsorizza con grande convinzione un progetto automobilistico che a Maranello è visto come il fumo negli occhi: una joint-venture Usa-Cina (più Cina che Usa) che, sfruttando nome e sapienze della cosiddetta Motor valley, vuole entrare nel segmento delle auto ibride ed elettriche di super lusso, a partire dal 2023.
Un piano un po' discusso che in queste ore sta facendo tirare il freno a mano anche a chi aveva accolto l'idea con entusiasmo, come il governatore Stefano Bonaccini, l'assessore regionale allo Sviluppo economico e lavoro Vincenzo Colla e il sindaco di Reggio Emilia Luca Vecchi, la città dove dovrebbe nascere l'impianto.
Ma è al Ministero dello sviluppo economico, guidato da Giancarlo Giorgetti, che hanno acceso il faro più grande, dopo aver capito che il progetto sino-americano punta ad attingere ai fondi del Pnrr grazie all'idea dell'elettrico.
Il timore è che qualcuno, anziché a portare capitali, punti a sfruttare know-how e design italiani per consentire ai cinesi di diventare leader di questo segmento. Infatti se la hypercar Hongqi S9 e la sorella S7 dovrebbero essere prodotte a Reggio Emilia, altri modelli della stessa gamma verrebbero costruiti negli impianti cinesi della Faw (First automobile works, il maggior produttore statale di auto) a Changchun, metropoli di 7,5 milioni di abitanti a nord-est di Pechino.
Ma torniamo alle tensioni tra la nuova impresa e la Ferrari: nelle scorse settimane Maranello ha presentato la sua nuova 296 Gtb, la prima ibrida a sei cilindri, mentre la Silk-Faw svelava, pur non avendo ancora una fabbrica dove produrla, la sua S9, con motore elettrico a 8 cilindri e velocità massima da 400 chilometri orari. E per realizzarla ha chiamato alla sua corte alcuni uomini targati Cavallino rampante. Tra questi Amedeo Felisa, ex amministratore delegato della casa di Maranello, Roberto Fedeli, Carlo Della Casa e Davide Montosi.
Una campagna acquisti che non è proprio piaciuta dalle parti di Modena. Anche perché l'ibrida da 2 milioni di euro della Silk-Faw ha abbandonato l'iniziale livrea azzurra per indossare quella rossa, che fa tanto Ferrari, ma anche Repubblica popolare cinese. Una tinta, che, a detta dello stesso designer Walter Da Silva, sarebbe il «punto di contatto culturale tra l'Italia e la Cina».
Ad oggi l'operazione per la costruzione della S9 è portata avanti dalla società irlandese Silk - Faw automotive group limited (circa 27 milioni di euro di capitale) che in Italia ha costituito una Srl da 10.000 euro. L'azienda dovrebbe mettere insieme capitali e competenze di origine americana (quelli della società di ingegneria Silk Ev) e cinese (quelli della Faw). Il presidente di Silk-Faw automotive group Italy Srl è l'americano Jonathan Adam Krane. L'amministratore delegato è Giovanni Lamorte. Sul sito della Silk Ev americana come location vengono indicate New York, Changchun e Modena.
Il sindaco del capoluogo emiliano Gian Carlo Muzzarelli conferma che all'inizio il gruppo aveva bussato alla sua porta: «Le aree del territorio che abbiamo proposto non rispondevano alle esigenze dell'azienda e il Comune non aveva interesse a sostenere economicamente quell'investimento. Le nostre imprese dell'automotive sono già impegnate in progetti di sviluppo con livelli molto alti di innovazione e stanno creando nuova occupazione qualificata.
Inoltre, il rischio di vedersi sottrarre tecnici e know-how non le entusiasmava di certo».
Ma anche il sindaco di Reggio Emilia Vecchi e Bonaccini hanno iniziato a manifestare qualche perplessità.
Il presidente ha dichiarato un mese fa: «Speriamo che l'investimento di Silk-Faw vada a buon fine, ma finché non lo vediamo realizzato non gli diamo un euro dei 4,5 milioni di finanziamento assegnati». E il primo cittadino, che con il suo Comune ha garantito, 4,5 milioni di euro di sconto sugli oneri di edificazione, ha avvertito: «Non chiuderemo la conferenza dei servizi per dare l'ok definitivo al progetto, finché Silk-Faw non andrà a rogito». In municipio non risulta che la compravendita si sia conclusa.
All'appello, almeno sino a poche settimana fa, mancava una tranche da 20 milioni di euro e sulla trattativa sono arrivate due segnalazioni all'Antiriciclaggio. Il 4 novembre è scattato un alert per un pagamento da 625.000 euro per un terreno della signora L. C., in quanto risultava che la società acquirente, rappresentata da Lamorte, «è partecipata da società con sede in Irlanda a sua volta partecipata da altre società site al di fuori della Ue».
A preoccupare i risk manager era, in particolare, «l'impiego di strutture di gruppo artificiosamente complesse e articolate, anche in relazione alla distribuzione delle partecipazioni e alla dislocazione all'estero di una o più società». A marzo è partito un nuovo allarme per una cessione di quote: «Non è stato possibile identificare il reale titolare» si leggeva nella segnalazione di operazione sospetta.
Il progetto starebbe subendo un forte rallentamento e Krane starebbe disattendendo gli impegni finanziari presi (si era parlato di oltre 1 miliardo di investimento). Diversi i manager italiani avrebbero già pronte le valigie, alcuni diretti verso l'Aston Martin, e per sventare l'emorragia i vertici di Silk-Faw si sarebbero rivolti al Mise chiedendo di poter accedere, come detto, ad alcuni finanziamenti previsti dal Pnrr, usando come leva le prospettive occupazionali (si parla di 1.000 posti di lavoro) e gli impegni presi per il settore ricerca con alcune università italiane.
Nel frattempo l'europarlamentare grillina e giornalista d'inchiesta Sabrina Pignedoli, con un'interrogazione indirizzata alla Commissione europea, datata 9 marzo e ancora senza risposta, ha chiesto chiarezza: «Il progetto Silk-Faw nella provincia di Reggio Emilia, con uno stabilimento di 320.000 metri quadri per 100 supercar all'anno, desta perplessità per l'impatto ambientale e per la provenienza degli investimenti» ha scritto.
Quindi ha denunciato che «l'oggetto sociale dello stabilimento è generico» e che «queste operazioni mettono a rischio l'esclusività del know-how europeo sui motori». La Pignedoli ha pure ricordato che «la Faw ha avviato un fallimentare progetto (Byton) in Germania nel 2016 con ex dirigenti Bmw e Nissan, naufragato nel 2019, con 1.500 licenziamenti» e ha chiesto alla Commissione di verificare «il rispetto delle normative europee sui finanziamenti cinesi per lo stabilimento» e «se il conto aperto dalla Silk Faw in Italia, con versamento di 15 milioni di euro, ottempera ai requisiti sulle leggi europee antiriciclaggio».
Il motivo? L'europarlamentare ha rimarcato come l'operazione sia «finanziata, attraverso una società con sede nel paradiso fiscale delle Cayman (la Silk Ev Cayman Lp, ndr), con 15 milioni di euro dalla statunitense Ideanomics, già nel mirino di indagini indipendenti negli Usa a tutela dei risparmiatori».
Un'informazione contenuta in alcuni report esaminati dalla Verità della Sec statunitense, la Securities and exchange commission, la nostra Consob. In una nota della Sec si legge che i 15 milioni investiti alle Cayman dalla Ideanomics (che nei giorni scorsi avrebbe completato con successo l'opa per la modenese Energica motor company) serviranno «alla costituzione e alle operazioni commerciali di Silk-Faw automotive group limited e/o di alcune delle sue affiliate».
Ma mentre il Mise, la politica locale e l'Antiriciclaggio iniziano ad avere dubbi sulla nuova fabbrica, Prodi starebbe spingendo sull'acceleratore. Nonostante il progetto sia ritenuto antitetico agli interessi di Maranello l'ex premier ha sponsorizzato pubblicamente l'investimento sino-statunitense e ha illustrato gli obiettivi della joint-venture durante un recente seminario.
Si è anche speso in numerose interviste. Sebbene neghi di aver partecipato alle trattative ha sfoggiato, lui originario di Scandiano, subito un po' di campanilismo da superbolidi: «Noi reggiani non vogliamo essere grandi, vogliamo essere super...». E ha soggiunto entusiasta: «È una decisione molto importante per il nostro Paese».
A inizio mese, quando già altri politici avevano frenato, ha ribadito la bontà dell'operazione: «Mi auguro vada in porto perché quello delle hypercar è un settore molto importante, non grandissimo, ma di prestigio. Significherebbe avere i tecnici più specializzati del mondo».
Entusiasmo un po' scalfito da una consapevolezza: «Certo, nel breve periodo potrebbe creare qualche problema alle imprese esistenti in fatto di concorrenza, ma nel lungo periodo avrebbe solo ricadute positive». Secondo le nostre fonti, nell'ultimo periodo, Prodi si sarebbe adoperato per spingere Krane a versare i capitali necessari a concludere il rogito e si sarebbe reso disponibile ad avviare contatti con le autorità cinesi, affinché queste supportino il progetto.
Si sarebbe confrontato anche con Bonaccini, Colla e Vecchi per garantire il sostegno istituzionale necessario a scongiurare l'addio di figure chiave del management. Avrebbe anche cercato di influenzare personalmente la permanenza a Reggio degli ex ferraristi Della Casa, Fedeli e Montosi.
Ma con noi Prodi smentisce la ricostruzione dei nostri informatori: «Non ho avuto e non ho alcun rapporto di consulenza e non ho avuto e non ho alcun rapporto con controparti cinesi di alcun tipo e non saprei nemmeno a chi rivolgermi. Ho seguito evidentemente con attenzione un progetto che, se avesse successo, consoliderebbe il primato della mia regione nel settore delle supercar! Il che sarebbe proprio una bella cosa. Per il resto non ho la possibilità di influenzare nessuna decisione di carattere personale e, tantomeno, finanziario di nessuno! E, in fondo, mi dispiace!». Alla fine l'unica cosa che l'ex premier ammette è il sostegno convinto a un progetto che la Ferrari proprio non digerisce.