Alessandro Barbero per La Stampa
Giappone, luglio 1935. Un certo tenente colonnello Aizawa arriva a Tokyo, in treno, dalla sua città di guarnigione. Va al ministero della Guerra, entra nell' ufficio del viceministro, generale Nagata, sguaina la sciabola e lo ammazza. Al processo dirà che si vergogna di una cosa sola: di non essere riuscito a ucciderlo con un solo colpo di spada. L' omicidio non è una questione privata: è dovuto a un conflitto politico.
L' esercito giapponese è spaccato tra i vecchi generali moderati, legati ai grandi trust industriali, e i giovani ufficiali estremisti, spesso di umili origini, e con forti simpatie fasciste. In Giappone c' è una tradizione di conflitti simili: c' è anche un termine che risale addirittura al XV secolo, gekokujo , che vuol dire rovesciamento degli anziani da parte dei giovani.
Il 26 febbraio 1936, durante il processo del tenente colonnello Aizawa, un gruppo di giovani ufficiali fa uscire i soldati dalle caserme, occupa il ministero della Guerra, il Parlamento e la Centrale di polizia e attacca le case del primo ministro e di parecchi ministri. Due ministri vengono uccisi, il premier si salva solo perché gli insorti uccidono suo cognato, scambiandolo per lui. I ribelli dichiarano che hanno agito per dovere nei confronti dell' imperatore, e non fanno nient' altro, come se si aspettassero che l' imperatore Hirohito interverrà dalla loro parte.
Il governo tratta con gli insorti per due giorni, ma intanto fa circondare tutti gli edifici occupati, usando unità della Marina, che è in pessimi rapporti con l' Esercito. Dopo tre giorni i ribelli si arrendono; la maggior parte saranno condannati a morte e giustiziati.
LA GAFFE DELLA PRAVDA
I governi occidentali fanno una gran fatica a capire cosa sta succedendo in Giappone: quella è una società lontana, complicata e impenetrabile. Anche i pochi giornalisti europei a Tokyo brancolano nel buio. C' è un solo giornalista che è capace di spiegare cosa succede. È un tedesco, membro del Partito nazista, molto ben introdotto alla sua ambasciata, e che ha una conoscenza stranamente approfondita della politica giapponese.
Dopo l' insurrezione dei giovani militari il giornalista scrive un lungo articolo, che viene pubblicato in Germania ed è commentato in tutto il mondo, al punto che la Pravda , a Mosca, lo ripubblica in russo. All' ambasciata tedesca si complimentano col giornalista: ormai è diventato una stella internazionale.
Il giornalista ride, ma in cuor suo è fuori di sé; quella sera va a trovare un altro tedesco, un industriale, che abita in un lontano sobborgo di Tokyo. In casa, l' industriale tiene nascosta una radiotrasmittente capace di trasmettere fino in Russia. Il giornalista chiama Mosca e chiede se sono matti a pubblicare sulla Pravda i suoi articoli: per favore, che non capiti più in futuro, perché nessuno deve intravvedere anche il minimo collegamento tra lui e l' Unione Sovietica.
SUPERSPIA
Il giornalista si chiamava Richard Sorge, era iscritto al Partito comunista dal 1918, ed era a capo di una rete di spie piazzata a Tokyo dall' Armata Rossa, una rete di spie che ha influenzato il corso della Seconda guerra mondiale. L' iscrizione al Partito nazista faceva parte della sua copertura; aveva chiesto la tessera a Berlino nel 1933, mentre aspettava il rilascio del passaporto per il Giappone. A quell' epoca l' organizzazione nazista era tutt' altro che impeccabile: negli archivi di Berlino è stata ritrovata la scheda del dottor Richard Sorge, iscritto al partito nella sezione dei residenti all' estero, e come indirizzo c' è scritto soltanto: «Tokyo, Cina». Poi qualcuno ha cancellato «"Cina" a matita e ha corretto: "Giappone"».
L' ambasciata tedesca a Tokyo era stata felicissima dell' arrivo di questo compatriota, giornalista esperto di Estremo Oriente, allegro compagnone e grande bevitore. La capitale nipponica negli Anni Trenta era una strana città, governata da una polizia segreta paranoica che teneva sotto sorveglianza tutti gli stranieri, ma piena di ristoranti cinesi ed europei, birrerie tedesche con nomi come «L' Oro del Reno», dove le cameriere giapponesi si tingevano i capelli di biondo, finché la polizia non decise di vietare quest' usanza antipatriottica.
Francobollo DDr per Richard Sorge
Lì il dottor Sorge poteva essere visto fino a tarda notte a trincare con i suoi amici dell' ambasciata tedesca, che gli confidavano tutti i segreti e si facevano aiutare da lui a cifrare i dispacci in codice da mandare a Berlino. Si fidavano a tal punto che quando la Gestapo fece sapere all' ambasciatore Ott che nell' ambasciata forse c' era una talpa, l' ambasciatore non si confidò con nessuno, tranne una persona: il suo carissimo amico, il dottor Sorge.
Ma la superspia non era sola. Con lui c' erano tecnici europei addestrati a Mosca, come l' industriale che abitava nei sobborghi, che si chiamava Max Klausen e in realtà era un mago della radio, capace di costruirsi dal nulla una radioricevente portatile con pezzi comprati nei negozi di Tokyo, e di montarla e smontarla in dieci minuti. E c' erano i tanti giapponesi che avevano accettato di lavorare per Sorge e per il comunismo, tutti, senza eccezione, per convinzione ideale, nessuno per soldi, che erano pochi e incerti. Uomini piazzati a tutti i livelli della società giapponese, come il giornalista Hotsumi Ozaki, esperto di cose cinesi, consulente del governo e della potentissima Armata del Kwantung che occupava la Manciuria, ai confini con l' Unione Sovietica.
«MAI NESSUNO COME LUI»
Per otto anni Sorge, Ozaki e gli altri, muovendosi alla luce del sole nei circoli governativi e diplomatici, accumularono informazioni segrete e le spedirono a Mosca, che seppe in anticipo tutto quello che bolliva in pentola a Tokyo e a Berlino: dal patto anti-Comintern tra Germania e Giappone, all' aggressione hitleriana contro l' Unione Sovietica, all' attacco di Pearl Harbor.
Quando, alla fine, vennero arrestati, dopo che la Gestapo giapponese, la Tokko, aveva seguito le loro tracce per due anni, Sorge e Ozaki avevano influenzato concretamente l' esito della guerra. Eppure, incredibilmente, non avevano violato quasi nessuna legge: tutte le informazioni trasmesse a Mosca le avevano raccolte grazie ai loro contatti nel governo e nell' ambasciata nazista.
Ne avevano violata una sola, una legge nuova che puniva con la morte chi avesse trasmesso informazioni di qualunque genere a un Paese comunista, e su quella base vennero condannati e impiccati, dopo un processo durato tre anni. Il procuratore Yoshikawa, che interrogò Sorge, disse poi: «In tutta la mia vita non ho mai incontrato un uomo di tale levatura».