1. IL PIANO DI KERRY PER DARE L'ASSALTO ALLA CASA BIANCA
Paolo Mastrolilli per “la Stampa”
Domenica John Kerry era nella lobby dell' hotel Renaissance Savery di Des Moines, e un analista della televisione «Nbc» lo ha sentito discutere al telefono l' ipotesi di candidarsi alla Casa Bianca. Il suo timore è che Bernie Sanders vinca le primarie e trascini il Partito democratico verso il disastro, come ha fatto Corbyn con i laburisti britannici. Appena la notizia si è saputa, l' ex segretario di Stato ha subito smentito, usando anche un linguaggio colorito. La verità, come spesso accade, sta nel mezzo. Ma comunque siano andate le cose nei caucus di ieri sera in Iowa, finiti troppo tardi per avere il risultato in questa edizione del giornale, la preoccupazione di Kerry è diffusa tra i democratici e riguarda il futuro stesso del partito.
Durante la telefonata, il candidato presidenziale del 2004 ha parlato della «possibilità che Sanders trascini il partito nel baratro». Quindi ha ragionato sui dettagli logistici della sua corsa, ammettendo che «forse mi sto illudendo». Quando un giornalista gli ha chiesto conto della chiamata, Kerry ha smentito tutto via Twitter: «Io non punto alla Casa Bianca. Qualsiasi notizia diversa è fottutamente falsa. Sono orgoglioso di fare campagna per il mio buon amico Biden, che vincerà».
Poi ha cancellato la parolaccia dal tweet, e ha spiegato che un amico lo aveva chiamato per esprimere preoccupazione, perciò gli aveva spiegato quanto impraticabile fosse la sua candidatura. È vero, ma in realtà Kerry sta preparando da tempo il terreno per essere scelto come candidato unitario di consenso alla convention di Milwaukee se dalle primarie non emergesse un chiaro vincitore eleggibile a novembre. Questa preoccupazione resta. Il primo problema è ovvio: Sanders, ma anche Warren, sono i Corbyn americani. Sposterebbero il partito troppo a sinistra e regalerebbero la vittoria a Trump. Biden appare debole, mentre gli altri moderati Buttigieg e Klobuchar sono inesperti, e Bloomberg ha molti nemici.
john kerry si fa un selfie con un cucciolo di elefante
L' altro problema è come il Partito sia finito così, e come potrebbe venirne fuori.
Per cominciare, va notato che quattro dei candidati democratici in testa nei sondaggi nazionali, Biden, Sanders, Warren e Bloomberg, sono tutti settantenni. Perché non è emerso alcun leader più giovane, a parte Buttigieg che forse è troppo giovane? Nessuno poi viene dall' esperienza esecutiva di governatore, in particolare del Sud, che ha prodotto due degli ultimi tre presidenti democratici.
Un problema di lungo termine, potenzialmente ancora più grave, riguarda poi la demografia. Nel 2016 i democratici sostenevano che l' immigrazione ispanica, le donne e i giovani stavano dando loro una maggioranza permanente. Ciò si è dimostrato vero nel voto popolare, che Hillary ha vinto con 3 milioni di consensi in più, e a novembre Trump potrebbe perdere con 5 milioni di scarto, con tutti i problemi che un presidente di netta minoranza comporta per la credibilità della democrazia Usa. In più Clinton aveva preso le contee che generano il 64% del Pil americano, e ciò dimostra come la parte più produttiva del paese sia confinata all' opposizione.
Trump però ha vinto gli stati decisivi per conquistare il collegio elettorale, perché i democratici hanno perso i voti dei bianchi non laureati della classe medio-bassa, e i guadagni fatti tra ispanici, donne, e giovani non sono bastati a compensarli in Pennsylvania, Michigan e Wisconsin.
La preoccupazione di Kerry nasce dal fatto che il partito non sembra aver elaborato una strategia per ridurre l' emorragia nel primo gruppo, e accrescere i consensi nel secondo, e così rischia di ripetere il 2016.
2. SANITÀ, CLIMA E TASSE LE ARMI SEGRETE DEI DEM PER BATTERE TRUMP
Federico Rampini per "la Repubblica"
Una folla entusiasta di diecimila fan ha riempito lo stadio qui a Des Moines. Non per Bernie Sanders né per Joe Biden. È stato Donald Trump, a "colpire preventivamente", nello Stato che ha aperto la stagione delle primarie.
Uno Stato che lui stesso ha strappato ai democratici: l' Iowa votò due volte Barack Obama nel 2008 e 2012, passò a Trump nel 2016 con nove punti di scarto. «E lo rifarete quest' anno - ha detto Trump allo stadio - mi darete un trionfo» 48 ore dopo il suo, ero a un comizio di Biden. Nella palestra della scuola Hiatt Middle School sulla 15esima strada. Piena ma al massimo un migliaio di persone. Molte di mezza età o anziani, pubblici dipendenti e pensionati: il principale sponsor dell' evento era il sindacato dei vigili del fuoco, ero seduto in mezzo alle mogli dei pompieri. L' atmosfera in sala era elettrizzante, musica e canti, applausi a ripetizione. Poi è arrivato lui. Il vecchio Joe, per otto anni vicepresidente di Barack Obama, ha smosciato il clima in pochi minuti. Per due volte ha ringraziato l' Ohio invece dell' Iowa.
(Sorrisi imbarazzati nell' audience).
Ha detto che in un mondo pieno di crisi, epidemie o terrorismo o cambiamento climatico, ci vuole una persona di esperienza, competente e coi nervi saldi alla Casa Bianca.
Ha stigmatizzato l' indulgenza di Trump verso le frange razziste più radicali, incluso il Ku Klux Klan. «E' uno di noi, una persona per bene.
Viene dalla classe operaia, sa cos' è la sofferenza delle famiglie che non arrivano a fine mese. Ha perso due figli in circostanze tragiche, quando parla della sanità che non funziona l' ha subita sulla sua pelle».
Ho riempito il taccuino con questi apprezzamenti delle mogli dei vigili del fuoco. Ma non si poteva parlare di delirio. Dopo il comizio di Biden la piccola folla è defluita ordinatamente, con la coscienza a posto ma un mare di dubbi sulla vittoria finale.
Per adesso il vincitore in Iowa rimane Trump. Nulla lascia prevedere che questo Stato agricolo del Midwest sia pronto a tornare all' ovile democratico. «Se non mi votate le vostre fattorie andranno in rovina », lancia il presidente. Il mondo agricolo per la verità ha sofferto due anni di chiusura del mercato di sbocco cinese; ora attende che si materializzino le promesse di Pechino su un boom di acquisti di soia e cereali americani. Il coronavirus potrebbe creare difficoltà impreviste. Ma l' economia nell' insieme va bene, per adesso. Che cosa può spostare voti in modo decisivo, da qui al 3 novembre?
Sull' ala sinistra, il senatore del Vermont Bernie Sanders non esita a definirsi un socialista, invoca «una rivoluzione politica». Il capitalismo è insostenibile, salvo emendarlo con riforme sociali così profonde da trasformare gli Stati Uniti in una grande Svezia o Danimarca.
Sanità pubblica, università gratuita e cancellazione dei debiti studenteschi, aumento del salario minimo, una garanzia federale d' impiego, smembramento di oligopoli come Amazon, Facebook e Google.
Per finanziare il tutto una maxi-patrimoniale sulla ricchezza dello 0,1% di multimilionari e miliardari.
All' obiezione che Trump lo demonizzerà come un vetero-comunista, Bernie risponde che la sua agenda sociale può rubare voti al presidente proprio nella classe operaia bianca che fu decisiva nel 2016.
Altra obiezione: quand' anche vincesse Sanders non avrà mai una maggioranza al Congresso, neppure dentro il partito democratico, per varare riforme così radicali.
Sanders invoca un «grande riallineamento », cioè un terremoto politico- culturale come quello che portò al New Deal di Roosevelt; la spinta dal basso secondo lui sarà come un' insurrezione, costringerà la politica a cambiare.
Elizabeth Warren, senatrice del Massachusetts, ha idee e proposte simili a Sanders, è più specifica nel dettagliarle. Forse anche troppo: ha precisato che la transizione dalla sanità privata a quella pubblica costerà 20.000 miliardi in dieci anni. Donde le sue tasse sui ricchi sono quasi da esproprio. Ha abbracciato i valori della «sinistra dei campus universitari» fino all' estremo.
«Il ministro dell' Istruzione lo farò esaminare da un adolescente transgender, avrà la nomina solo se passa quell' esame». Questa promessa fa sobbalzare perfino un idolo della satira di sinistra, Bill Maher: «La Warren vuole diventare presidente non degli Stati Uniti ma di Berkeley », (città universitaria che è roccaforte della sinistra più radicale).
Biden, l' ex sindaco di South Bend (Indiana) Pete Buttigieg, la senatrice del Minnesota Amy Klobuchar, sono convinti che Trump si sconfigge riportando l' asse del partito verso il centro. Su alcuni temi in realtà non divergono dalla sinistra radicale: il Green New Deal mette d' accordo tutti; idem per il no al Muro col Messico. Però sull' immigrazione i centristi non seguono Alexandria Ocasio-Cortez e la sinistra "no border" che vuole abolire la polizia di frontiera. In quanto alla sanità, propongono di offrire un' opzione pubblica senza abolire le assicurazioni private. Il loro messaggio: gli ultimi democratici a conquistare la Casa Bianca, Bill Clinton e Barack Obama, presero le distanze dallo stereotipo per cui "lo Stato è sempre buono", e ogni problema si risolve a colpi di tasse e spesa pubblica.
elizabeth warren vs amy klobuchar
Per ricominciare a parlare alla classe operaia, al di là dei programmi di governo, qualcosa bisogna imparare da Trump: ha restituito all' America di mezzo un riconoscimento, mentre la sinistra rappresenta i ceti istruiti delle due coste. Hillary Clinton diede voce a quella mutazione antropologica e valoriale del suo partito, quando definì «deplorevoli, disprezzabili» gli operai bianchi di mezza età tentati dalla destra.