IL NEMICO DEL MIO NEMICO E’ MIO AMICO - L’ACCORDO CON L’IRAN SERVE A OBAMA PER RIMETTERE ORDINE IN MEDIO ORIENTE DOVE ORA IL NEMICO NUMERO UNO È L’ISIS SUNNITA - RILANCIARE IL PAESE “CAMPIONE” DEGLI SCIITI SERVE A RIEQUILIBRARE LE POTENZE

Nel frattempo Obama è diventato “più kissingeriano di Kissinger”, sposando il pragmatismo della Realpolitik - Una logica di equilibrio delle potenze, di bilanciamento, ha convinto il presidente che l’America non può basare la sua strategia mediorientale in modo esclusivo o prevalente su Israele e l’Arabia saudita...

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barack e michelle obama john kerry con salman re dell arabia saudita barack e michelle obama john kerry con salman re dell arabia saudita

Federico Rampini per “la Repubblica”

 

«Oggi, dopo che l’America ha negoziato da una posizione di forza e di principio, abbiamo bloccato la diffusione di armi atomiche in Medio Oriente. Questo accordo non si basa sulla fiducia, ma sulle verifiche». Barack Obama dà lo storico annuncio alle sette del mattino.

 

La Storia non può aspettare. Gli americani non hanno neppure finito il breakfast, quando il loro presidente proclama urbi et orbi la grande svolta nei rapporti con il nemico degli ultimi 36 anni, lo sponsor degli Hezbollah, il sostenitore del regime siriano di Assad.

obama kerry cameron obama kerry cameron

 

E’ un accordo che viene paragonato con l’altra grande rottura storica nella diplomazia americana, il dialogo tra Richard Nixon e Mao Zedong che all’inizio degli anni Settanta sconvolse di colpo gli equilibri della Guerra fredda, portò la Cina comunista nel campo dei partner dell’Occidente.

 

Obama sa che la strada è ancora irta di ostacoli. Dice apertamente che l’applicazione di questo accordo, la vigilanza e i controlli, saranno affidati in gran parte ai suoi successori nell’arco di un decennio. Prima ancora, ci sono i 60 giorni utili per incassare un voto cruciale del Congresso. Su quel fronte la destra americana già dissotterra l’ascia di guerra.

ohn Kerry con il presidente Barack Obama ohn Kerry con il presidente Barack Obama

 

Per tutti parla John Boehner, presidente della Camera, quindi leader istituzionale dei repubblicani. «Invece di rendere il mondo meno pericoloso – dichiara Boehner riecheggiando le denunce del premier israeliano Benjamin Netanyahu – questo accordo incoraggia l’Iran, il più grande sponsor mondiale del terrorismo, perché aiuta a stabilizzare e legittimare il suo regime». Ma le regole del gioco per una volta favoriscono Obama. Il presidente preannuncia: «Metterò il veto se il Congresso vota contro l’intesa».

 

Per superare un veto presidenziale ci vogliono i due terzi del Congresso. Benché le obiezioni israeliane trovino consensi anche dentro il partito democratico, tuttavia un terzo dei voti Obama li troverebbe facilmente, e l’accordo con l’Iran passerebbe l’esame parlamentare.

congresso americano congresso americano

 

Non è questo lo scenario su cui punta il presidente: un accordo varato solo per il rotto della cuffia, con una maggioranza contraria fra i rappresentanti del popolo, sarebbe una mezza sconfitta e renderebbe ancora più difficoltosa l’applicazione di tutte le clausole. Comincia ora la campagna di lobbying interno, per “vendere” all’opinione pubblica e al Congresso la svolta diplomatica a cui Obama affida la sua eredità storica.

CONGRESSO AMERICANO CONGRESSO AMERICANO

 

Di colpo questo presidente così contestato in patria – il suo partito ha perso due elezioni legislative, nel novembre 2010 e nel novembre 2014 – può diventare l’uomo che ha impresso cambiamenti eccezionali nell’assetto geopolitico del pianeta. Prima dell’Iran c’erano stati il disgelo diplomatico con Cuba – l’ultima pagina della guerra fredda si sta chiudendo proprio ora – e quello con la Birmania.

 

L’Iran è una posta in gioco ben più grossa. Non a caso Obama ha impegnato per 20 mesi tutta l’attenzione del Dipartimento di Stato, e John Kerry è diventato il protagonista di una maratona diplomatica analoga a quella di Henry Kissinger, il segretario di Stato che “firmò” l’intesa con la Cina di Mao. Quel Kissinger che oggi, dall’alto dei suoi 92 anni, non accetta il paragone e boccia il disgelo con l’Iran.

henry kissinger henry kissinger

 

Obama di certo ha dato prova di determinazione e di coerenza. Sull’Iran scoprì le sue intenzioni quando non era neppure presidente. Fu nella campagna elettorale per il suo primo mandato, nel 2008, che osò dirsi «disposto a parlare con tutti, anche col diavolo». Fu sbeffeggiato dal suo rivale repubblicano di allora, il senatore John McCain. Quest’ultimo rimproverò a Obama ingenuità e inesperienza, gli contrappose uno slogan bellicoso cantato sulle note di una canzone dei Beach Boys: “Bomb, bomb, bomb Iran”.

 

Bombardare l’Iran? Obama ha escluso che questa fosse un’alternativa vera: neppure i militari israeliani hanno mai pensato che un attacco agli impianti atomici di Teheran sarebbe bastato a fermarli per sempre. Quando Netanyahu è andato a sfidarlo in casa sua, con l’offesa suprema di un discorso al Congresso in piena campagna elettorale, e su invito dei soli repubblicani, Obama ha continuato a rispondergli: qual è l’alternativa? La strada dell’inasprimento delle sanzioni, Obama l’ha percorsa.

 

NETANYAHU ALL ASSOCIAZIONE DEGLI EBREI AMERICANI NETANYAHU ALL ASSOCIAZIONE DEGLI EBREI AMERICANI

Fu lui nel 2012 a convincere gli europei su un nuovo giro di vite, che rese più stringente l’embargo, includendovi petrolio e crediti bancari. Fu con Obama che l’intelligence americana – forse d’intesa con quella israeliana – riuscì un magistrale cyber- attacco, con il virus Stuxnet che fece danni consistenti ai laboratori nucleari iraniani. Continuare con le sanzioni però non stava sbloccando lo stallo, non piegava la teocrazia di Teheran. Le sanzioni per Obama dovevano essere un mezzo, non un fine: per portare l’avversario al tavolo del negoziato.

 

OBAMA NETANYAHU OBAMA NETANYAHU

Nel frattempo Obama è diventato “più kissingeriano di Kissinger”, sposando il pragmatismo della Realpolitik. In Medio Oriente è spuntato un nuovo nemico dell’Occidente, che la Casa Bianca considera più pericoloso: lo Stato Islamico con il suo progetto del Grande Califfato. Più feroce perfino di Al Qaeda in certe esecuzioni; più potente nel proselitismo. Obama non arriva a dire apertamente che “il nemico del mio nemico è mio amico”, ma la convergenza d’interessi con l’Iran sciita è evidente, per frenare il contagio jihadista dello Stato Islamico (sunnita).

 

Una logica di equilibrio delle potenze, di bilanciamento, ha convinto il presidente che l’America non può basare la sua strategia mediorientale in modo esclusivo o prevalente su Israele e l’Arabia saudita. E intanto ai suoi alleati europei l’America “regala” un altro contro-shock petrolifero. I mercati già si adattano all’idea che un milione di barili al giorno potrebbero tornare disponibili, se l’Iran viene liberato dalle sanzioni. La logica degli interessi economici e del business, peserà anche sul voto del Congresso, nei calcoli di Obama.

 

 

 

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