Paolo Ferrari per “Libero quotidiano”
Il pm Roberto Tartaglia entra a far parte dei "Draghi boys", la ristretta cerchia dei collaboratori del presidente del Consiglio. Lo ha stabilito ieri il Consiglio superiore della magistratura, che ha dato il via libera alla richiesta di "fuori ruolo" per il magistrato siciliano, attuale vice capo del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria del ministero della Giustizia.
Dalla prossima settimana, Tartaglia, noto alle cronache per aver fatto parte del pool del processo "Stato-mafia", conclusosi con l'assoluzione in secondo grado di tutti i principali imputati, da Calogero Mannino, agli ufficiali del Raggruppamento operativo speciale dei carabinieri Mario Mori e Antonio Subranni, accusati di minaccia a corpo politico dello Stato, sarà il numero due del prestigioso Dipartimento per gli affari giuridici e legislativi della Presidenza del Consiglio dei ministri.
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Una carriera tutta in ascesa per Tartaglia che, pur avendo poco più di dieci anni di servizio, è stato anche consulente presso la Commissione parlamentare bilaterale antimafia presieduta dall'ex grillino Nicola Morra.
Nella primavera del 2020, in piena emergenza Covid e dopo le rivolte nelle carceri, il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede (Movimento 5stelle) lo aveva voluto al Dap, diretto all'epoca da Francesco Basentini, con il compito di mettere ordine nelle prigioni.
Basentini, travolto dalle polemiche per le scarcerazioni dei boss di mafia, camorra e 'ndrangheta autorizzate dai magistrati di sorveglianza, era stato poi costretto alle dimissioni ed al suo posto arrivò Dino Petralia, altro pubblico ministero antimafia.
Il "tandem di ferro" era durato poco più di un anno in quanto lo scorso gennaio Petralia decise di andare in pensione in anticipo.
Come sostituto era stato scelto Carlo Renoldi, giudice della prima sezione penale della Corte di Cassazione ed ex magistrato di sorveglianza a Cagliari, con la fama di essere un garantista.
Sarà pure «un magistrato di grande capacità e professionalità», ma la sua nomina «non è perfettamente in linea con le peculiari esigenze del Dap», dissero in coro gli esponenti del M5s, della Lega e di Fratelli d'Italia.
Il motivo? Alcune prese di posizione pubbliche di Renoldi contro il carcere duro. Il neo capo del Dap scrisse sul punto una lettera, affermando di non aver mai «messo in dubbio neanche la necessità dell'istituto del 41bis, essenziale nel contrasto della criminalità organizzata, per recidere i legami tra il detenuto sottoposto a questo regime e il contesto delinquenziale di appartenenza.
Come, del resto, emerge da sentenze a cui ho contribuito a scrivere in Cassazione». Il Fatto Quotidiano diede il via ad una campagna contro Renoldi "il garantista" che non sortì l'effetto sperato, quello di farlo dimettere. «Non mi affido alle opinioni espresse da un giornale, vediamolo lavorare, poi ne riparleremo», fu la secca risposta della Guardasigilli Marta Cartabia. Che ora dovrà nominare un nuovo vice capo Dap.
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