L'EDITORIAL BOARD DEL ''NEW YORK TIMES'' NEL 2015 SCRISSE UN EDITORIALE PER CAZZIARE BIDEN (ALLORA VICEPRESIDENTE) NEL SUO ATTEGGIAMENTO CON L'UCRAINA, COMPROMESSO DAI RAPPORTI DEL FIGLIO CON UN OLIGARCA INDAGATO PER CORRUZIONE
https://www.nytimes.com/2015/12/12/opinion/joe-biden-lectures-ukraine.html?module=inline
''Tristemente, la credibilità del messaggio di Biden [sull'Ucraina] è compromessa dall'associazione di suo figlio con un'azienda di gas naturale ucraino, Burisma Holdings, che è di proprietà di un ex dirigente pubblico sospettato di essere corrotto (…) sotto indagine nel Regno Unito e in Ucraina. Dovrebbe essere chiaro a Hunter Biden che i suoi rapporti con un oligarca ucraino danneggiano gli sforzi del padre per aiutare il Paese. Quello non è un consiglio d'amministrazione nel quale dovrebbe sedere''.
1 - POCHI RISCHI PER LA CASA BIANCA: MAGGIORANZA BLINDATA IN SENATO
Anna Guaita per “il Messaggero”
Da quando gli Stati Uniti esistono come nazione indipendente, nessun presidente è stato rimosso in seguito a un processo di impeachment. Due sono stati assolti in fase di giudizio al Senato Andrew Johnson nel 1868 e Bill Clinton nel 1998 - e uno si è dimesso prima che la procedura di impeachment venisse avviata, Richard Nixon nel 1974. La procedura di rimozione è in effetti molto difficile, soprattutto quando le due Camere sono divise fra i due partiti come è attualmente, con la Camera a maggioranza democratica e il Senato a maggioranza repubblicana.
LE DUE FASI
La procedura di impeachment è divisa in due fasi: la raccolta delle prove, e il giudizio. Sta alle commissioni della Camera indagare e accertarsi se ci siano davvero gli estremi per scrivere dei capi d'accusa. Se le commissioni trovano prove convincenti di crimini o reati commessi dal presidente, allora questi vengono messi al voto dell'intera Camera. Basta una maggioranza semplice perché il presidente venga accusato formalmente. I deputati poi presentano i capi d'accusa al Senato, che funziona da aula di tribunale. A presiedere la seduta viene chiamato il giudice in capo della Corte Suprema, ai senatori è dato il ruolo di giuria, mentre i deputati hanno il compito di agire da procuratori.
LA MAGGIORANZA
Il presidente verrebbe riconosciuto colpevole solo se i due terzi dei senatori votassero in tal senso. Poiché i democratici sono in minoranza al Senato, ci vorrebbe una defezione di almeno venti senatori repubblicani perché Donald Trump venga condannato. L'ipotesi appare alquanto improbabile, a meno di scoperte sconvolgenti che scuotano la granitica fedeltà espressa verso Trump finora dai repubblicani.
Il partito conservatore oggi è molto più coeso, meno moderato e centrista di com'era negli anni Settanta, quando Nixon capì che se fosse andato al processo ci sarebbero state forti chances di essere riconosciuto colpevole. Fu anzi proprio un gruppetto di senatori repubblicani che andò alla Casa Bianca ad ammonirlo del rischio che correva. Le due Camere erano allora tutte e due in mani democratiche, e sembrava chiaro che anche vari repubblicani si sarebbero schierati contro Nixon, cosa che oggi non sembra possibile contro Trump. L'unico senatore repubblicano che finora ha espresso qualche dubbio sul comportamento di Trump è stato Mitt Romney. Nessun altro sembra finora intenzionato a seguirne l'esempio.
IL CASO LEWINSKY
BARACK OBAMA JOE BIDEN E HUNTER BIDEN
Nel caso di Bill Clinton, due erano i capi di accusa derivati dallo scandalo dei rapporti sessuali con la stagista Monica Lewinsky: di aver ostacolato la giustizia e di aver giurato il falso. Il Senato aveva 55 senatori repubblicani e 45 democratici. Per condannare il presidente ci sarebbero voluti 67 voti, cioè i repubblicani avevano bisogno di almeno 12 democratici. Invece avvenne il contrario, e dieci repubblicani disertarono il voto di colpevolezza, assicurando l'assoluzione del presidente.
LA MOSSA DEM PER COLPIRE DONALD E FERMARE LA CORSA DEL VICE DI OBAMA
Flavio Pompetti per “il Messaggero”
I repubblicani gridano allo scandalo di fronte alla pubblicazione della telefonata: «Dov'è il qui pro quo?» chiede Lindsay Graham; «Questo scandalo poggia su aria fritta», denuncia Mitch McConnell. I democratici mostrano invece i volti severi e contriti delle grandi occasioni: «Questa è una tragedia nazionale» annuncia il presidente della commissione Giustizia Adam Schiff. «Nessuno è sopra la legge, nemmeno il presidente», chiosa la leader dell'opposizione alla camera Nancy Pelosi, neo convertita alla causa dell'impeachment. Nei commenti dei politici di riferimento del partito si coglie un senso di compiacimento, la consapevolezza di una vittoria.
IL DOPPIO SUCCESSO
Il successo potrebbe rivelarsi doppio. Perché lo scandalo ucrainagate e l'apertura di un'inchiesta di impeachment nei confronti di Trump segnano una chiave di svolta nel più importante processo politico che fa da sfondo a questa vicenda: le elezioni presidenziali del 2020. Il presidente si era svincolato la scorsa estate dalla morsa del russiagate, che lo ha tenuto in stato di assedio per i primi due anni e mezzo di presidenza.
la trascrizione della telefonata tra trump e zelensky su biden
Le commissioni parlamentari hanno continuato ad indagare sulla vicenda negli ultimi mesi, ma il tono del confronto era molto cambiato. Trump e i suoi collaboratori si sono permessi comportamenti offensivi nei confronti dei politici dell'opposizione, e hanno calpestato il protocollo con apparizioni dissacranti nelle commissioni.
Sul fronte della comunicazione tra esecutivo e congresso, hanno chiuso la porta ad ogni richiesta di documenti e ad ogni convocazione per le testimonianze. L'ucrainagate, e l'inchiesta per l'impeachment, rinforza ora i poteri degli inquirenti parlamentari, e da maggiore incisività alle richieste che questi faranno nei tribunali. Da ieri Trump e la sua amministrazione sono tornati in trincea, e l'opposizione democratica farà tutto quanto in suo potere per tenerceli il più a lungo possibile sulla rotta del voto presidenziale del 2020.
GLI ALTRI
L'altro vantaggio che si profila all'orizzonte riguarda lo schieramento dei candidati democratici. Si è già visto negli ultimi giorni che l'amministrazione Trump si difenderà dall'accusa di aver complottato con l'Ucraina, opponendo le rivelazioni raccolte da Rudy Giuliani sul conto di Hunter, il figlio di Biden. Come tanti rampolli dei politici di lunga data, Hunter ha goduto di opportunità di carriera e di risultati finanziari che vanno ben oltre l'esperienza frammentaria di lavoro che gli è stata concessa da una vita disordinata, e assediata dall'alcool e dalle droghe.
Le inchieste riavviate in Ucraina potranno anche assolverlo da reati, ma sarà impossibile arginare almeno i sospetti di favoritismi ottenuti all'ombra della politica, e di conseguenza macchiare l'immagine del padre. Tutto questo accade in un momento particolarmente propizio per i democratici. L'immagine di Joe Biden, candidato-fiore all'occhiello dell'establishment democratico, ed erede destinato del trono che ha già servito da vice durante la reggenza di Obama, inizia a mostrare segni di corruzione progressiva e forse già inarrestabili, anche al netto delle polemiche su suo figlio.
IL VANTAGGIO
Il vantaggio abissale che Biden vantava sugli avversari diretti per la nomination democratica: Bernie Sanders e Elizabeth Warren, si è assottigliato nell'ultima settimana soprattutto a vantaggio dell'ex professoressa, che negli ultimi sondaggi lo ha appaiato e poi staccato di almeno sette punti (29 a 22%). Quella che si profilava come una sconfitta della macchina elettorale potrebbe ora essere presentata come un incidente di percorso, una chiamata di responsabilità del padre per le colpe del figlio, che agevolerebbe il passaggio di consegne all'interno del ticket.