Estratto dell’articolo di Federico Capurso e Francesco Olivo per “la Stampa”
Fratelli d'Italia sin dall'inizio ha temuto gli effetti di questo dibattito. Privatamente nessuno nega che esista un'emergenza nelle carceri. Ma la ricetta immediata, secondo Giorgia Meloni, non può essere quella di un qualsiasi gesto di clemenza per alleggerire la popolazione delle prigioni italiane.
D'altronde la premier in passato si è definita orgogliosamente «giustizialista nella fase dell'esecuzione della pena» e quindi, su questo punto, non vuole cedere. Proprio da Palazzo Chigi è arrivato l'ordine tassativo di non chiamare il decreto, tanto caro al Quirinale «svuota carceri». Per FdI si tratterebbe di un «messaggio devastante» per l'elettorato di destra: l'idea di un "liberi tutti" contrasta con l'immagine di rigore assoluto che la premier ha imposto.
antonio tajani e giorgia meloni al senato
[…] La risposta di Meloni resta quella di sempre: costruire nuove carceri. Non si tratta di una soluzione a breve termine, ma il problema è che non si vede una grande attività in questo senso.
I progetti per gli ampliamenti degli spazi carcerari sono a buon punto, ma i fondi sono bloccati. E dentro al partito più di un esponente di FdI punta il dito contro il direttore del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, Antonio Russo, che non avrebbe dimostrato sufficiente energia […].
Russo, peraltro, è stato chiamato come testimone al processo che vede imputato il sottosegretario alla Giustizia Andrea Delmastro. E potrebbe non essere un caso il fatto che la Lega abbia presentato un emendamento al decreto Carceri per istituire l'ennesimo commissario ad hoc.
Meloni ha scoperto però in questi giorni di avere un problema nuovo, all'interno della maggioranza, che si chiama Forza Italia. Il partito di Tajani in Senato si è impuntato sul decreto Carceri, come raramente aveva fatto per altri provvedimenti in passato: vuole che i suoi 9 emendamenti vengano discussi e votati.
matteo salvini giorgia meloni antonio tajani atreju
FdI non ne vuole sapere. Si rende così necessaria la convocazione di una riunione d'emergenza nello studio della presidente della commissione Giustizia, Giulia Bongiorno. Da una parte del tavolo ci sono il presidente dei senatori azzurri Maurizio Gasparri, il capogruppo di FI in commissione Pierantonio Zanettin e il viceministro Francesco Paolo Sisto; dall'altra, invece, si schierano il Guardasigilli Carlo Nordio, il suo braccio destro Giusi Bartolozzi e i sottosegretari Andrea Delmastro e Andrea Ostellari.
La resistenza azzurra, poco dopo, si squaglia come neve al sole. Sopravvivono solo due emendamenti. Quello più importante per i forzisti cade miseramente. Lo chiamano «compromesso».
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Non è abbastanza. Tajani telefona quindi a Meloni: chiede che venga dato almeno il via libera all'emendamento che rafforza la semilibertà per chi ha pene da scontare che vanno dai 2 ai 4 anni. «Per noi - le dice - è il più importante». Niente da fare. La premier replica con un secco «no».
Per Tajani è una sconfitta difficile da digerire. Alla prima occasione in cui il partito cercava di distinguersi e di alzare la voce non solo contro la Lega, ma anche contro Fratelli d'Italia, ne esce con «un accordicchio», così lo chiamano i parlamentari forzisti più velenosi nei confronti del segretario. «Promettevamo da giorni una battaglia che non c'è mai stata. Chissà la famiglia Berlusconi com'è contenta di questa "prova di forza"».
MELONI E MATTARELLA CON FAZZOLARI, TAJANI, GIORGETTI, FITTO E ZAMPETTI
Dai piani alti di Forza Italia provano a rassicurare i malpancisti: il confronto sugli emendamenti saltati è solo rimandato al prossimo provvedimento utile.
Ma è difficile che cambi qualcosa e riescano a fare breccia un domani. Meloni ha ripetuto più volte, a quanti l'hanno sentita in questi giorni, di non volere «indulti mascherati».
Concezione piuttosto ampia di maschera: per la premier dalle carceri non deve uscire nessun detenuto in più di quelli che hanno regolarmente finito di scontare la pena. […]