Estratto dell’articolo di Filippo Santelli per “la Repubblica”
Huawei e Zte, sempre loro. È il dominio dei colossi cinesi sulle tecnologie 5G che ha aperto gli occhi all’Occidente sui rischi – industriali e per la sicurezza – del balzo hi-tech del Dragone. E le stesse due aziende, in questi giorni, rischiano di essere uno dei grandi nodi della visita in Cina della premier Meloni.
LE FORNITURE CINESI NELLA RETE 5G
Perché mentre gli Stati Uniti e i loro alleati di intelligence le hanno da tempo bandite, e i grandi Paesi europei hanno tracciato una strada che punta nella stessa direzione, in Italia i fornitori “ad alto rischio” restano presenti in molte parti della rete. Spesso dominanti, secondo manager e tecnici del settore.
L’ultima stima indipendente è di fine 2022, un rapporto di Strand Consult secondo cui in Italia il 51% delle reti di accesso radio, le antenne che scambiano i dati con i nostri telefoni, è composta da apparati cinesi. Uno dei valori più alti d’Europa, secondo solo alla Germania per numero di utenti coinvolti. Bruxelles non ha mai imposto ai Paesi membri un bando, ma ha indicato una serie di strumenti per diversificare i fornitori (a beneficio dei concorrenti europei Ericsson e Nokia) e mitigare i rischi.
Lo scorso anno, irritata dai lenti progressi, ha sollecitato i governi a fare in fretta. La Germania, la più restia a rompere con Pechino, ha appena annunciato che Huawei e Zte verranno eliminate delle reti 5G entro il 2029, un anno dopo la Francia. Un passo, anche se lento. Che rende l’Italia unico tra i big europei (e del G7) a non aver segnato una croce rossa sul calendario, nonostante già cinque anni fa il Copasir suggerisse di “considerare seriamente il bando”.
Il governo Conte – lo stesso che firmò la Via della Seta – si limitò a estendere il Golden power alle reti 5G, un controllo “ex post” che Draghi ha rafforzato e Meloni confermato. Gran parte dei poteri speciali esercitati negli ultimi anni, per lo più nella forma “soft” delle raccomandazioni, hanno riguardato i contratti di fornitura delle società telefoniche, con l’obiettivo di assicurare una progressiva riduzione degli apparati extra-Ue.
Ma l’opacità che circonda il Golden power fa sì che sul ritmo di questa sostituzione non ci siano evidenze pubbliche. E l’impressione tra molti addetti ai lavori, espressa a registratore spento, è che la presenza cinese sia scesa in modo molto marginale. Tra i big italiani Tim è stato l’unico a escludere Huawei e Zte, mentre nella rete Vodafone sono predominanti le antenne Huawei, specie al Centro e al Sud, e in quella di Wind Tre gli apparati Zte. Vodafone, Wind e Huawei non hanno voluto commentare.
Si è dibattuto all’infinito degli effettivi rischi per la sicurezza rappresentati dalle apparecchiature cinesi e da eventuali “porte sul retro” lasciate aperte per spionaggio o attacchi. Una pistola fumante non è stata mai trovata, ma il controllo che il Partito comunista esercita su tutte le aziende non può che alzare il livello di pericolo. Le telco, i cui conti piangono, non vogliono rinunciare a fornitori ancora imbattibili nel rapporto qualità- prezzo e rassicurano sul fatto che i cinesi sono fuori dal nucleo “intelligente” dell’infrastruttura.
FREQUENZE STRATEGICHE - CONVEGNO SUL 5G
[…] Ma la distinzione non convince tutti: nelle reti 5G anche le parti periferiche sono intelligenti; anche un singolo nodo, se in aree strategiche, può essere delicato […] Per gli Stati Uniti infatti Huawei resta l’emblema della minaccia hi-tech cinese da contenere e fu proprio Trump, il candidato per cui la premier tifa, a spingere gli alleati di bandirla. D’altra parte, quando Xi Jinping sentirà che in Italia gli investimenti cinesi nell’auto o nelle rinnovabili sono benvenuti, chiederà una rassicurazione: che resti aperta la porta anche per i suoi campioni del 5G.