DAGOREPORT
A viale Mazzini molti si tormentano le sinapsi intorno alla domandina: perché la signora Eleonora Andreatta ha mollato la poltronissima di capo fiction di viale Mazzini per sedersi su quella di amministratore delegato di Netflix Italia?
Ma prima di tutto, c’è un’altra domanda che viaggiava sui telefonini dei boss televisivi: perché ora Netflix, che ha sempre operato in maniera globale da San Francisco, ora sente il bisogno di avere un amministratore delegato non solo adeguato alla produzione di serie ma anche ben introdotto nella giungla del rito politico romano?
Essì: anche per la multinazionale che ha oscurato le majors di Hollywood, una volta sbarcata nella terra de’ noantri serve un Ad che non riceva porte in faccia o risposte “scusi, sono in riunione” e sappia come muoversi e ottenere senza ostacoli agevolazioni fiscali e finanziamenti sulle produzioni italiane.
Infatti, nelle settimane scorse come candidato più quotato era circolato il nome di Salini, caricato a molle pur di mollare mamma Rai era Fabrizio Salini, un miracolato della premiata ditta Presta-Ercolani.
Netflix era d’accordo finché dal Ministero dei Beni culturali, da cui dipende l’erogazione di Tax-credit e altro, è arrivato il consiglio di cambiare cavallo: il ministro Franceschini, da perfetto ex democristiano, ha sussurrato il nome di Tinni Andreatta, della dinastia che ha dato vita il catto-sinistrismo dei Prodi e dei Bazoli, Enrico Letta e Guerini.
Insomma, quella di Netflix è stata una scelta di relazioni politiche, un gettone istituzionale che hanno pagato al ministro e capo delegazione del Pd al governo. Per quanto riguarda il contenuti delle serie a decidere sarà sempre San Francisco, il compito dell’Andreatta sarà in pratica di fare la Pierre, public relations, con il ministero di su-Dario.
REED HASTINGS NETFLIX NINO ANDREATTA