Ilario Lombardo per "la Stampa"
L'atto finale del melodramma politico degli ultimi giorni andrà in scena oggi, quando attorno al tavolo del Consiglio dei ministri Mario Draghi siederà di fronte ai suoi congiurati. È la scena che tanti hanno immaginato nelle ultime ore: il premier che arriva, cartelletta in mano, e riprende il lavoro con Dario Franceschini, Andrea Orlando, Stefano Patuanelli, con chi più o meno intensamente ha spento le sue ambizioni quirinalizie. Il talento che gli riconoscono i collaboratori più stretti è maturato durante gli anni alla guida della Bce, dove Draghi doveva quotidianamente navigare tra i governatori che guardavano con sospetto l'italiano arrivato a difendere la stabilità dell'euro a colpi di quantitative easing.
Dunque, dicono, niente di più facile che riallacciare i fili dell'azione di governo con chi non lo ha voluto al Colle. Anzi, nelle considerazioni a caldo fatte dal presidente c'è la certezza che i partiti dovranno fare i conti con la mancanza di alternative: o questo governo va avanti o si precipiterà verso il voto. Draghi sa che saranno mesi terribili. Il suo più fedele interprete, il ministro dello Sviluppo economico Giancarlo Giorgetti, lo mormorava a chiunque l'altro ieri alla Camera.
Per questo il premier ha bisogno di dare un primo avvertimento. Un primo no ai partiti. E potrebbe darlo già nelle prossime ore, per frenare le intemperanze di Matteo Salvini. Il leghista ha chiesto un incontro a Draghi e vuole al suo fianco Giorgetti. La richiesta sarà di «un deciso intervento del governo, di almeno 30 miliardi di euro», per abbattere i costi di luce e gas. Niente di più lontano dai piani del premier.
A Palazzo Chigi provano a minimizzare la proposta di Salvini, ma il senso delle risposte va sempre nella stessa direzione: ci sono già stati tre interventi ravvicinati per abbattere i costi delle bollette e 30 miliardi sono una cifra enorme, di fatto una finanziaria, che andrebbe contrattata con l'Europa.
MATTEO SALVINI DOPO L'INCONTRO CON MARIO DRAGHI
La fine dolceamara sul Quirinale può lasciare a Draghi un vantaggio, che l'ex banchiere intende sfruttare. Sergio Mattarella congela il quadro. E ora che il premier si sente svincolato dalla sua partita più personale, ha indubbiamente meno da perdere. A maggior ragione - ha confidato con una certa dose di ironia Draghi - dopo che i partiti non hanno fatto che ripetere quanto fosse necessario che rimanesse a Palazzo Chigi. Su Green Pass, misure anti-Covid e Pnrr è pronto a sfidare le resistenze dei partiti.
giancarlo giorgetti maria elena boschi
Dall'atteggiamento di Giorgetti, ha già intuito che da qui alle prossime settimane la Lega potrebbe alzare il tasso di conflittualità. Il vicesegretario ha evocato le dimissioni ed è pronto allo strappo appena capirà che Salvini punterà a rompere con il governo o a sfruttare ogni centimetro di polemica contro chiunque. Nel mirino finiranno il ministro della Salute Roberto Speranza, i colleghi dell'Interno e delle Infrastrutture.
SERGIO MATTARELLA MARIO DRAGHI MEME
Si parlerà di rimpasto ancora per giorni, come avvenuto mentre ancora era in corso la votazione che ha sancito il bis di Mattarella. Potrebbe essere la Lega ad aprire al rimescolamento, oppure i centristi di Coraggio Italia, che scalciano per entrare nel governo. Ma per Draghi resteranno grida nel deserto finché qualcuno non glielo andrà a chiedere ufficialmente. Fino ad allora si concentrerà sulla montagna di dossier rimasta in sospeso durante il rodeo sul Quirinale.
La riforma del fisco e delle pensioni, ma anche la riforma del Csm e il pacchetto di norme sul lavoro, per la precisione sui due capitoli considerati più urgenti: precarietà e sicurezza. Durante uno degli ultimi Cdm, Draghi aveva promesso al ministro Orlando che avrebbero ripreso il prima possibile a discutere della proposta di introdurre procedure più trasparenti per i tirocini, e maggiori garanzie nell'applicazione dei contratti nei settori edili. Di materiale per rilanciare il governo ce n'è tanto. Oggi si ricomincia, in attesa che Salvini decida se restare dentro o giocarsi l'ultimo anno di legislatura fuori dalla maggioranza.