Estratto dell’articolo di Claudio Tito per “la Repubblica”
«Non è coerente con la nostra posizione». L’ultima stoccata è stata assestata dalla Casa Bianca. Il Consigliere per la Sicurezza, Jake Sullivan, è stato durissimo nei confronti del premier ungherese, Viktor Orbán. Per i viaggi compiuti a Mosca e Pechino. E per l’incontro con Donald Trump organizzato ieri nella residenza in Florida del tycoon a Mar-a-Lago.
Del resto i due giorni passati a Washington per il vertice della Nato sono stati vissuti dal leader magiaro come un emarginato. Pochi i colloqui bilaterali, pochissimi i contatti informali. Tranne una breve conversazione con il presidente francese, Emmanuel Macron, e il Cancelliere tedesco, Olaf Scholz. I due hanno prima parlato riservatamente. Con l’inquilino dell’Eliseo che ha riferito sulla formazione del prossimo governo francese e poi hanno fatto un breve punto della situazione sulla prossima elezione della presidenza della Commissione europea.
A quel punto hanno occasionalmente incrociato il primo ministro di Budapest esplicitando la loro idea sulle sue iniziative: «Non parli a nome nostro, non parli a nome dell’Ue». Orbán ha ripetuto quello che aveva già fatto dire l’altroieri nel corso della riunione del Coreper (il comitato degli ambasciatori Ue) a Bruxelles: «I miei incontri non sono stati effettuati in qualità di presidente di turno dell’Ue».
Le sue spiegazioni non hanno però risolto il problema. Anzi, lo hanno acuito. Durante il summit dell’Organizzazione Atlantica, infatti, ha evitato accuratamente di sollevare interrogativi. Ha accettato ogni elemento della dichiarazione finale, sia quelli contro la Russia sia quelli contro la Cina. Ma il ruolo di “incursore” putiniano nell’alleanza occidentale non gli si è scrollato di dosso. Anche perché appena finito il vertice è volato in Florida per riferire proprio a Trump.
viktor orban e volodymyr zelensky
Conferma che le missioni a Mosca e Pechino erano concordate con l’ex presidente americano. Non a caso l’Amministrazione Usa è stata dura nei suoi confronti, ribadendo che si è trattato di colloqui «non coordinati con l’Ucraina». E infatti il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, dopo l’incontro con il segretario generale della Nato Jens Stoltenberg, ha sottolineato: «Non sapevo che Viktor Orbán andasse da Putin o in Cina o da Trump quando è venuto in Ucraina. Con tutto il rispetto per tutti i Paesi, piccoli o grandi, non tutti i leader possono fare i mediatori, ci vuole il potere».
[…] è ormai chiaro a tutti che il capo di Budapest sta agendo per conto del candidato repubblicano alla Casa Bianca e che si muove come una Quinta colonna del Cremlino nel cuore dell’Unione europea. Non a caso l’Ue sta cercando di limitare il suo ruolo di presidente di turno. I Consigli informali dei ministri verranno disertati dai rappresentanti politici ed è ora in discussione anche la possibilità di cancellare la riunione dei ministri degli Esteri a Budapest per trasformarla in incontro formale che quindi va tenuto a Bruxelles.
roberta metsola viktor orban giorgia meloni
Sono però provvedimenti in grado di arginare il movimentismo sovranista di Orbán ma non di bloccarlo del tutto. Nei mesi scorsi, ad esempio quando l’Unione doveva approvare i nuovi aiuti all’Ucraina, dinanzi al veto ungherese, era stata la presidente del consiglio italiana, Giorgia Meloni, a mediare. Adesso questo ruolo, proprio per quel che è accaduto nel Parlamento europeo, rischia di venire meno. Anche se l’Amministrazione Usa continua a ritenere che sia proprio Palazzo Chigi uno dei pochi interlocutori in grado di parlare con Orbán. E se questo compito venisse meno, la funzione di Meloni nel dialogo transatlantico in parte verrebbe ridimensionata. […]