Paolo Griseri per “la Stampa”
Uno degli ultimi episodi al cementificio Rossi di Pederobba, in provincia di Treviso, 90 dipendenti ai piedi del Monte Grappa. Dopo settimane di discussioni l'iniziativa l'hanno presa i delegati di azienda: «In mensa i vaccinati, sacchetti con cibo caldo per gli altri». Altro che timori per la presunta segregazione dei no vax: «Il 90 per cento degli iscritti alla Cgil vuole il vaccino e il Green Pass. Non possiamo inseguire l'altro dieci per cento», dice il segretario generale di una importante categoria della Cgil.
La sua non è una posizione isolata. I dubbi sulle ambiguità della linea dell'organizzazione sul Green Pass sono diffusi nel principale sindacato italiano. La linea spiegata da Maurizio Landini («È sbagliato introdurre il Green Pass nelle mense con una logica sanzionatoria») non sembra convincere larga parte dell'organizzazione. Dallo schermo rimbalzano parole grosse: «Corporativo», «minoritario».
Accuse pesanti nel linguaggio della sinistra quelle che si scambiano i segretari generali delle categorie riuniti in videoconferenza nella giornata di martedi. Landini assiste ad uno scontro che certo non gli piace. Perché ciascuno dei partecipanti alla riunione telematica rappresenta centinaia di migliaia di iscritti. Le resistenze maggiori al certificato verde obbligatorio vengono dagli insegnanti e dai metalmeccanici. I dubbi delle tute blu sono addirittura trasversali alle organizzazioni sindacali. Lunedì scorso, proprio alla vigilia della riunione del vertice della Cgil, Fim, Fiom e Uilm nazionale hanno firmato un comunicato di sostegno esplicito alla linea del «no Green Pass» in mensa.
maurizio landini e mario draghi
Accusando il governo di «incerte disposizioni» rivendicavano il diritto di «accesso alle mense per tutti i lavoratori e lavoratrici». Anche per questi antefatti la riunione di martedì si accende presto. Perché l'uscita dei metalmeccanici sembra voler spingere anche le altre categorie a seguire la strada del no all'obbligo di Green Pass. I lavoratori della scuola si accodano alla linea. Lo fanno con convinzione: «Non tocca a noi decidere se ci debba essere l'obbligo. Tocca al governo. Lo faccia». Perché non costringere gli insegnanti a vaccinarsi e dimostrarlo con il certificato verde? «Perché fino ad oggi hanno sempre funzionato i protocolli sul distanziamento e tanto deve bastare». È la tesi pubblicamente sostenuta da Landini. Sapendo che sull'obbligo di certificato verde nei luoghi di lavoro Draghi difficilmente riuscirà a mettere d'accordo Lega e Pd, Cinque stelle e Fratelli d'Italia.
Così il sindacato spera che sia l'impasse della maggioranza a toglierlo dall'impaccio di dover prendere una posizione chiara sulla vaccinazione. E nella maggioranza politica c'è chi tenta la mossa contraria: lasciare che sia il sindacato a vedersela con il Green Pass obbligatorio magari imposto dalle aziende. Il classico gioco del cerino, tipico della piccola Italia.
Nelle stesse ore della riunione in Cgil da Palazzo Chigi si tenta invano una via d'uscita. Una «faq» afferma che «per la consumazione al tavolo al chiuso i lavoratori possono accedere nella mensa aziendale o nei locali adibiti alla somministrazione di servizi di ristorazione ai dipendenti, solo se muniti di certificazione verde, analogamente a quanto avviene nei ristoranti». Sembra chiaro ma non è così secondo i sindacati: «Una faq non è un provvedimento legislativo», taglia corto il segretario dei metalmeccanici della Cisl di Torino, Davide Provenzano.
E anche i sindacati degli insegnanti si uniscono in modo trasversale: i titolari di cattedra di Cisl e Uil si oppongono all'obbligo. Non sfugge che la più grande categoria dell'industria e quella degli insegnanti siano state in questi anni le più permeabili alle sirene del grillismo e alle sue predicazioni no vax. Ma nei luoghi di lavoro quelle titubanze non sono apprezzate. Dalla riunione emergono episodi preoccupanti. «Nelle fabbriche vengono a chiederci spogliatoi separati tra vaccinati e no» racconta un segretario. La divisione è anche più profonda: «Dovremmo introdurre l'obbligo anche nelle salette sindacali interne alle aziende».
C'è chi riferisce situazioni particolari: «Perché devo lavorare gomito a gomito con i miei compagni in galleria se so che uno di loro non si è vaccinato e non intende farlo?». La preoccupazione generale, che tutti condividono, è quella di evitare che l'obbligo del Green Pass finisca per annullare i protocolli di sicurezza definiti nel marzo del 2020, all'inizio della pandemia, quando sindacati e imprenditori della manifattura avevano stabilito regole precise di distanziamento per riprendere rapidamente la produzione. Una unità di intenti che riproduceva nei luoghi di lavoro il clima generale del Paese, quando la sera l'Italia cantava sui balconi. Ma oggi non è più così: «Chi ci garantisce che con il Green Pass obbligatorio le aziende non ritengano di abolire i vecchi protocolli di sicurezza?» dicono i dubbiosi.
«Ma se si fa un accordo che impone l'obbligo di Green Pass e i protocolli, questo problema si supera», rispondono altri. Questioni divisive che lo schermo restituisce in modo chiaro, quasi drammatico. «Dobbiamo cercare il più possibile di tenere uniti i nostri iscritti, evitare che si dividano», dicono i rappresentanti degli insegnanti. Aggiungendo che «per questa ragione è giusto pagare il tampone ai colleghi che non intendono vaccinarsi». Posizione che crea scompiglio. I favorevoli all'obbligo insorgono: «In Germania Merkel sta pensando di imporre a chi non si vaccina per scelta di pagarsi i tamponi. Perché noi dovremmo invece essere condiscendenti verso i no vax? Con le scuole che cadono a pezzi spendiamo i denari pubblici per pagare scelte contro l'obbligo vaccinale?».
Nella riunione c'è chi ricorda «il caso di Napoli quando il colera colpiva la città e il 19 per cento delle vaccinazioni contro la malattia venne effettuato nelle Camere del lavoro». E aggiunge: «Siamo in grado di proporre noi al governo l'obbligo vaccinale nei luoghi di lavoro?». Per far cessare anche il gioco del cerino tra la politica e il sindacato uscendo dall'angolo ed evitando di subire le divisioni interne. Landini deve ora governare tutto questo. E non solo lui. Anche Sbarra e Bombardieri, i segretari generali di Cisl e Uil, devono far fronte a problemi analoghi con una base in grandissima maggioranza favorevole al vaccino che rischia di diventare ostaggio della rumorosa minoranza no vax.
Il sindacato italiano deve insomma trovare la strada per uscire dalla stretta come era riuscito a fare con i protocolli nella prima fase della pandemia. Probabilmente nei prossimi giorni l'incontro tra i vertici di Cgil. Cisl e Uil e i due ministri competenti, Speranza e Orlando, servirà a diradare le nebbie. Prima che, con la ripresa di autunno, la questione dell'obbligo vaccinale sui luoghi di lavoro diventi esplosiva. «Come sindacato - dice uno dei partecipanti alla riunione in Cgil di martedì scorso - dovremmo scegliere. Una soluzione potrebbe essere quella di organizzare noi i comitati vaccinali nelle fabbriche per promuovere l'immunizzazione. Avevamo fatto accordi per poter realizzare le vaccinazioni in fabbrica. Come possiamo oggi diventare agnostici?». -