Pierluigi Battista per il “Corriere della Sera”
Il 2018 è stato l' anno che ha stravolto il quadro politico, ha distrutto la Seconda Repubblica. Vecchi protagonisti se ne sono andati, i nuovi hanno fatto irruzione sul palcoscenico. Hanno vinto i Cinque Stelle creatura della coppia Grillo-Casaleggio e la Lega di Salvini oramai lontanissima da quella nordista di Umberto Bossi. Il presidente della Repubblica Mattarella si è trovato a gestire una transizione complicata. Vediamo chi è andato bene, chi male, chi è uscito di scena, e chi è entrato per la prima volta.
MATTEO SALVINI: 7 E MEZZO
Ha trascinato in alto la Lega, ha espugnato il centrodestra, ha conquistato gli Interni con la bandiera della sicurezza, è al centro dello spazio mediatico, vola nei sondaggi. Un anno trionfale se non fosse per la mania compulsiva dei selfie e per i ceti produttivi del Nord che cominciano a borbottare.
GIANCARLO GIORGETTI: 6-
La testa pensante del progetto economico della Lega, il volto istituzionale, il ministro ombra dell' Economia. Chiamato a Palazzo Chigi per rappresentare le ragioni del mondo produttivo, non argina la spinta assistenzialista dei 5 Stelle, con annesso malumore per il reddito di cittadinanza.
LUCA ZAIA: 7-
In un mese rimette in piedi il Veneto devastato da tempeste e alluvioni. È l' anima governista e pragmatica della Lega, buona amministrazione, sostegno ai tanti capannoni che fanno ricca l' Italia del Nord-Est. Ma paga la svolta «nazionale» di Salvini: la battaglia per l' autonomia è la sua trincea.
LUIGI DI MAIO: 6+
Conduce la campagna elettorale che porta trionfalmente i 5 Stelle a diventare il primo partito. Al governo appare talvolta sopraffatto dalla presenza chiassosa di Salvini. Esagera con il balcone del deficit al 2,4 che dovrebbe abolire la povertà ma porta a casa la bandiera del reddito di cittadinanza.
alessandro di battista in messico
ALESSANDRO DI BATTISTA: 6 --
È il cinquestellismo-movimento alternativo a quello moderato di Di Maio. Quando appare, trascina le piazze del vaffa, ma va in America Latina per farsi notare ancora di più e scrivere il suo diario. È la grande carta di riserva, se le cose dovessero mettersi male. Molti (troppi?) aspettano il suo rientro.
ROBERTO FICO: 5 E MEZZO
È il cuore di sinistra dei Cinque Stelle. Stretto nel suo abito istituzionale di presidente della Camera, dove si è inizialmente presentato in autobus, mormora di continuo contro la deriva di destra degli alleati della Lega, si fa portabandiera delle ragioni dell' accoglienza dei migranti. Ma invano.
CHIARA APPENDINO: 5
ROBERTO FICO VERSIONE BOLDRINI
Promossa nell' ordinaria amministrazione di una città difficile come Torino, non perde i legami con gli strati disagiati che le avevano dato fiducia. Sconta l' emarginazione per la mancata candidatura olimpica. E soprattutto la piazza favorevole alle grandi opere, Tav al primo posto, è contro di lei.
VIRGINIA RAGGI: 5--
Il trionfo giustamente rivendicato della sindaca di Roma nelle sue vicende giudiziarie compensa solo in parte la sensazione di abbandono che la Capitale vive, tra cassonetti stracolmi di immondizia, autobus in fiamme, strade devastate dalle buche. A metà del mandato il bilancio è disastroso.
GIUSEPPE CONTE: 6-
conferenza stampa di fine anno di giuseppe conte 7
Era il signor Nessuno, il protagonista di Oltre il giardino catapultato a Palazzo Chigi. La figura neutra adatta a non disturbare il narcisismo dei due vice. Ma la trattativa con la Commissione Ue per evitare la procedura d' infrazione ha scoperto la sua vocazione di tessitore. E ora?
PAOLO SAVONA: 5
Economista inserito nei circuiti del mondo finanziario, era però diventato il casus belli che stava per portare al naufragio la formazione del governo gialloverde. Ma aveva una visione keynesiana: un piano di massicci investimenti pubblici per rilanciare l' economia. Questo piano non c' è, sparito.
MATTEO RENZI: 5--
Il Pd a trazione renziana ha conosciuto il peggior risultato della sua storia, tanto più clamoroso se confrontato con lo squillante 40 per cento delle Europee del 2014. Non sembra che la disfatta però abbia indotto Renzi a una severa «analisi della sconfitta». Il partito ha perso? Facciamone uno nuovo.
MARCO MINNITI: 5
Era partito come l'«uomo forte» che avrebbe potuto sfidare Salvini sul suo stesso terreno: il controllo dell' immigrazione. Poi si è candidato alla segreteria del Pd dichiarando la sua autonomia dal mondo renziano. Poi si è scandidato nella corsa perché il mondo renziano non lo ha sostenuto.
nicola zingaretti maurizio martina
MAURIZIO MARTINA: 5 E MEZZO
Ha tenuto coraggiosamente il timone di un partito colpito duramente dalla disfatta. Non ha dimostrato la stessa determinazione per fare ripartire un partito allo sbando. Dopo la manifestazione della piazza romana si candida alla segreteria pd pur avendo poche chance di vittoria.
NICOLA ZINGARETTI: 6-
Porta come dote personale nella sua battaglia per la segreteria del Pd la vittoria alle Regionali del Lazio. Fa fatica a riempire di contenuti, e soprattutto di passione, la sua proposta di discontinuità con il passato. E a evitare lo spettro di un eccessivo schiacciamento a sinistra della sua leadership.
EMMA BONINO: 5 E MEZZO
La sua lista +Europa non ha ottenuto il risultato sperato, la calamita per attirare gli elettori del Pd non convinti da Renzi non ha funzionato. Nel nuovo Parlamento però è diventata punto di riferimento per l' opposizione: anni di battaglie radicali di minoranza non sono passati invano.
GIUSEPPE SALA: 7
Vanta i risultati di una Milano promossa come metropoli con la più alta qualità di vita.
Ha rilanciato la città trascinata dall' Expo. Ora è cominciata la sua offensiva simpatia, smettendo l' abito di freddo manager che non scalda i cuori della sinistra. È partita la corsa alla leadership nazionale?
SILVIO BERLUSCONI: 5--
SILVIO BERLUSCONI ANTONIO TAJANI
È stato l' anno orribile in cui ha perduto la leadership incontrastata del centrodestra da lui creato nel 1994. Durante le consultazioni del Quirinale ha cercato di dare anche visivamente l' impressione di essere il leader, ma Salvini, vincitore della sfida, stava andando già per la sua strada.
ANTONIO TAJANI: 6-
Difficile raccogliere l' eredità berlusconiana nella tempesta che vede Forza Italia ridotta al minimo, ma come presidente del Parlamento europeo sta dando prova di fermezza con gli esuberanti populisti. La leadership va conquistata sul campo, non per concessione del Capo indiscusso.
MARA CARFAGNA CONTRO MATTEO SALVINI
MARA CARFAGNA: 6-
Come vicepresidente della Camera ha bacchettato il ministro Salvini che stava adoperando un lessico non consono alla solennità delle istituzioni. E ha costretto il governo a fare marcia indietro sul taglio dei fondi anti-femminicidio. Prove di candidatura per la leadership di Forza Italia?
GIOVANNI TOTI: 6--
GIORGIA MELONI E GIOVANNI TOTI
I l crollo del ponte Morandi ha fatto cambiare idea al governatore della Liguria sul conto della Lega salviniana: troppo succube dei diktat dei 5 Stelle, troppo tiepida sulle grandi opere per paura di un urto con l' alleato di governo. Ora però Toti deve cambiare rotta dentro Forza Italia.
GIORGIA MELONI: 5
La sua paura è quella di essere cannibalizzata: prima da Forza Italia, ora dalla Lega che sta mietendo successi nei campi sovranisti di cui Fratelli d' Italia dovrebbe essere sentinella. Deve trovare un suo spazio e una sua ragion d' essere, oltre il recinto del piccolo partito, raccolta dagli orfani di An.
MASSIMO D’ALEMA: 5--
Il progetto Leu si è incagliato senza speranza sul fondale di Gallipoli. E solo il sarcasmo di D' Alema («ho preso meno voti delle persone che ho incontrato») ha saputo neutralizzare gli effetti di un risultato catastrofico per chi ha voluto sfidare il Pd renziano da sinistra. Le scissioni non portano bene.
LAURA BOLDRINI: 5 E MEZZO
Aveva puntato su Leu per fedeltà alla sua storia di sinistra e per drenare i voti della protesta filo 5 Stelle. Progetto fallito, ma ora Laura Boldrini, nel nome dell' antisalvinismo, si spende per ricucire i rapporti tra le anime del centrosinistra che sembravano inconciliabili. Mission impossible ?